venerdì 30 settembre 2016

Storia segreta della banca d'Inghilterra - La battaglia di Waterloo - Usura


Con una sottile manipolazione consentita dalla loro ricchezza unificata, sarebbe stato possibile creare condizioni economiche di tale gravità da ridurre, con la disoccupazione, le masse a condizioni di fame e miseria. Con l’uso di un’accorta propaganda, poi, sarebbe stato facile far ricadere la colpa di questa tragedia sul Re, sulla sua Corte, sui Nobili, sulla Chiesa http://dioni.altervista.org/NWO/dioni_0286.html
«Si può considerare ormai come accettato che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata finanziata e sostenuta, principalmente, dall’alta finanza ebraica, attraverso la Svezia: ciò non è che un aspetto della messa in atto del complotto del 1773». (“Times” del 10 marzo 1920)
A cosa si riferisce questo vecchio articolo del Times? Cos’è successo nel 1773? La risposta la troviamo nel libro “Pawns in the game” (Pedine nel gioco) di Guy Carr del 1958. Stessa risposta che troviamo anche in un comunicato dei Vescovi francesi a Lourdes [M. Servant, Veillez et priez car l’heure est proche Saint Germain-en-Laye, Servant autore ed editore, 1972, Vol. I, p. 152].

Riporto l’estratto dal libro “Pawns in the game” CPA Book Pubblisher, pp. 26-31 che ho trovato sui numeri 337/338 della rivista Chiesa Viva, marzo/aprile 2002:

Un orefice ebreo, Amschel Moses Bauer, stanco di vagare nell’Europa dell’Est, decise, nel 1750, di stabilirsi a Francoforte sul Meno, in Germania. Egli aprì una bottega di contabilità, nel distretto ebraico e, sopra la porta di questa bottega, pose, come simbolo della sua attività, una Targa rossa.
Questo fatto assume una grande importanza, poiché gli Ebrei, nell’Europa dell’Est, che appartenevano al Movimento Rivoluzionario, fondato sul terrorismo, avevano adottato anch’essi la Bandiera Rossa come loro emblema, e questo perché il rosso rappresentava il sangue!
Amschel Moses Bauer, con un figlio nato nel 1743, di nome Amschel Mayer, morì nel 1754 quando questi aveva solo undici anni. Il ragazzo, a cui il padre aveva insegnato quanto aveva potuto sui princìpi rudimentali dell’attività dei prestatori di denaro, mostrò subito una grande abilità ed una straordinaria intelligenza. Qualche anno dopo la morte del padre, Amschel Mayer Bauer fu assunto, come impiegato, presso la Banca Oppenheimer e, per la sua abilità naturale nell’attività bancaria subito dimostrata, venne promosso alla posizione di socio junior della Banca.
In seguito, Amschel tornò a Francoforte dove si assicurò la proprietà e il controllo dell’attività che era stata fondata da suo padre nel 1750. La Targa rossa spiccava ancora sopra la porta e, conoscendo il significato segreto di questo simbolo, Amschel Mayer Bauer decise di adottare un nuovo nome di famiglia. “Targa rossa”, in tedesco si dice “Roth Schild”, e così nacque “La Casa dei Rothschild”.
Amschel Mayer Bauer visse fino al 1812 ed ebbe cinque figli, tutti educati e addestrati per divenire dei Capitani dell’alta finanza. Nathan, uno dei figli, dimostrò un’abilità eccezionale e, all’età di ventun’anni, andò in Inghilterra con lo scopo ben preciso di assicurarsi il controllo della Banca d’Inghilterra, con la finalità, poi, di collaborare col padre e coi fratelli, per fondare e consolidare un Monopolio Bancario in Europa. La ricchezza cumulativa di questo Consorzio Internazionale Bancario poteva, poi, essere utilizzato per agevolare le segrete ambizioni che il padre aveva comunicato ai suoi figli. Per provare la sua abilità, Nathan Rothschild aveva moltiplicato le 20.000 sterline, che gli erano state affidate, in 60.000 sterline, in soli tre anni.
Nello studio del Movimento Rivoluzionario Mondiale, è importante ricordare che la Bandiera Rossa era stato il simbolo della Rivoluzione Francese come pure di tutte le rivoluzioni che l’hanno seguita.
Ancor più significativo, inoltre, è il fatto che quando Lenin, finanziato dai Banchieri Internazionali, rovesciato il Governo Russo, stabilì la prima Dittatura Totalitaria, nel 1917, i simboli usati erano una Bandiera Rossa, con una Falce e Martello, con impressa la Stella giudaica a cinque punte.
Nel 1773, all’età di soli trent’anni, Mayer Rothschild invitò, a Francoforte, dodici uomini ricchi e influenti, con lo scopo di convincerli del fatto che, se avessero unito le loro risorse, essi avrebbero potuto finanziare e dirigere il Movimento Rivoluzionario Mondiale, e usarlo come il loro Manuale d’azione per prendere il controllo delle ricchezze, delle risorse naturali e della forza lavoro di tutto il mondo.
Rothschild rivelò come la Rivoluzione Inglese fosse stata organizzata e mise in risalto gli errori che erano stati commessi. Il periodo rivoluzionario era stato troppo lungo; l’eliminazione dei reazionari non era stata eseguita con sufficiente rapidità e spietatezza; il programmato “regno del terrore”, col quale si doveva ottenere la rapida sottomissione delle masse, non era stato messo in pratica in modo efficace. Malgrado fossero stati commessi tutti questi errori, lo scopo della Rivoluzione era stato raggiunto. I banchieri, che avevano istigato la rivoluzione, avevano stabilito il loro controllo sull’economia nazionale inglese ed avevano consolidato il debito nazionale. Con l’intrigo, attuato su scala internazionale, essi avevano, poi, gradualmente aumentato il debito nazionale, prestando soldi per combattere le guerre e le rivoluzioni che essi avevano fomentato sin dal 1694.
Basando il suo argomento sulla logica e su solidi argomenti, Mayer Rothschild aveva mostrato che i risultati finanziari ottenuti con la Rivoluzione Inglese non sarebbero stati da paragonare a quelli che si potevano ottenere con la Rivoluzione Francese, a condizione che i presenti si unissero per mettere in pratica il Piano rivoluzionario che egli aveva studiato e aggiornato con grande cura.
Raggiunto l’accordo secondo il quale questo “Piano” sarebbe stato sostenuto da tutto il potere che poteva essere comprato con le loro risorse unificate, Mayer Rothschild svelò il suo “Piano Rivoluzionario”.
Con una sottile manipolazione consentita dalla loro ricchezza unificata, sarebbe stato possibile creare condizioni economiche di tale gravità da ridurre, con la disoccupazione, le masse a condizioni di fame e miseria. Con l’uso di un’accorta propaganda, poi, sarebbe stato facile far ricadere la colpa di questa tragedia sul Re, sulla sua Corte, sui Nobili, sulla Chiesa, sugli industriali e sui datori di lavoro.

I loro propagandisti ben pagati, quindi, avrebbero avuto facile gioco nel fomentare sentimenti di odio e di vendetta nei confronti delle classi dominanti, esponendo tutti i casi, reali o presunti, di sperpero, condotta licenziosa, ingiustizia, oppressione e persecuzione. Essi avrebbero inventato infamie per infangare altri che, se lasciati agire, avrebbero potuto interferire col loro piano globale.

Dopo questa introduzione generale, fatta per suscitare un ascolto entusiasta al piano che egli stava per svelare, Rothschild prese un manoscritto e procedette a leggere un piano d’azione accuratamente preparato.

Quanto segue è una versione succinta di ciò che mi è stato assicurato essere stata l’esposizione del complotto che aveva lo scopo di controllare le ricchezze, le risorse naturali e la forza-lavoro di tutto il mondo.
1. Il relatore iniziò a svelare il “Piano”, dicendo che, poiché la maggioranza degli uomini erano inclini al male piuttosto che al bene, il miglior risultato che si poteva ottenere nel governarli poteva essere raggiunto con l’uso della violenza e del terrorismo e non con discussioni accademiche. Egli continuò dicendo che, agli inizi, la società umana era soggetta alla forza bruta e cieca, la quale, col tempo, fu tramutata in LEGGE. Egli affermò che la LEGGE era un mascheramento della FORZA. Egli disse che era logico concludere che: “Per le leggi della Natura, il diritto si fonda sulla forza”!
2. Subito dopo, egli affermò che la libertà politica è solo un’idea e non un fatto. Egli disse che per usurpare il potere politico, tutto ciò che era necessario era di predicare il “Liberalismo”, cosicché l’elettorato, per amor di un’idea, avrebbe concesso parte del suo potere e prerogative che i complottatori avrebbero riunito nelle loro mani.
3. Rothschild affermò che il Potere di Dio aveva usurpato il potere dei governanti liberali, persino a quel tempo, nel 1773. Egli ricordò alla sua udienza che vi era stato un tempo in cui la FEDE aveva dominato, ma disse che, una volta che la LIBERTÀ avesse sostituito la FEDE, la gente non avrebbe saputo usarla con moderazione. Egli sostenne che per questo fatto, era logico assumere che il popolo avrebbe usato l’idea della LIBERTÀ per sfociare nella LOTTA DI CLASSE. Egli indicò che era indifferente, per il successo del suo piano, che i Governi legittimi fossero distrutti da nemici interni o esterni, poiché il vincente, per necessità, doveva sempre chiedere l’aiuto del “Capitale”, il quale “è interamente nelle nostre mani”!
4. Rothschild aggiunse che l’uso di ogni mezzo, per raggiungere il loro scopo finale, era giustificato sulla base che il regnante, che governava attraverso un codice morale, non era un politico competente perché si trovava in una posizione di vulnerabilità e di instabilità sul suo trono. Egli disse: “Quelli che desiderano governare devono ricorrere all’astuzia e devono essere convinti che le grandi qualità nazionali, come la franchezza e l’onestà, sono invece vizi, in politica”.
5. Egli affermò che “Il nostro diritto risiede nella forza. La parola DIRITTO è un pensiero astratto e non prova nulla. Io scopro un nuovo DIRITTO… attaccare col DIRITTO del forte, e spargere al vento tutte le forze esistenti dell’ordine e della legge, per ricostruire tutte le istituzioni esistenti e diventare il Signore sovrano di tutti quelli che ci hanno consegnato i DIRITTI e i loro poteri, per averli deposti volontariamente col loro ‘Liberalismo’”.
6. Egli, poi, ammonì i suoi ascoltatori con queste parole: “Il potere delle nostre risorse deve rimanere invisibile fino al momento in cui avrà raggiunto una tale forza che nessuna astuzia o forza potrà minarlo”. Egli li avvertì che ogni deviazione dalla LINEA del piano strategico, che egli stava tracciando, avrebbe rischiato di far naufragare “Il lavoro di secoli”.
7. Rothschild, poi, sostenne l’uso della “Psicologia della plebaglia” per ottenere il controllo delle masse. Egli spiegò che la potenza della plebaglia è cieca, priva di sensi, senza ragione e sempre alla mercé di suggestioni provenienti da ogni parte. Egli affermò: “Solo un governante dispotico può governare la plebe con efficacia, perché senza un dispotismo assoluto non vi può esistere una civiltà che è condotta NON dalle masse ma dalla loro guida, chiunque sia questa persona”. Egli li mise in guardia: “Il momento in cui la plebaglia prenderà la LIBERTÀ nelle sue mani, la trasformerà, immediatamente, in anarchia”.
8. Rothschild, poi, sostenne che l’uso di alcool, droghe, corruzione morale ed ogni altra forma di vizi, fosse utilizzato, in modo sistematico, dai loro “Agentur”[La parola “Agentur” significa un corpo completo e organizzato di agenti-spia, contro-spie, ricattatori, sabotatori, ed ogni cosa o persona che, al di fuori della Legge, sia capace di aiutare, avvantaggiare o far avanzare i piani segreti e le ambizioni dei cospiratori internazionali.], per corrompere la moralità della gioventù delle nazioni. Egli raccomandò di usare “Agentur” speciali addestrati come tutori, valletti, istitutori, contabili, e le nostre donne nei luoghi di dissipazione frequentati dai Goyim. Egli aggiunse: “Nel numero di questi ultimi, io conto anche le cosiddette donne di mondo che diventano seguaci degli altri nella corruzione e nella lussuria. Noi non dobbiamo fermarci davanti al ricatto, all’inganno e al tradimento, quando questi servono per raggiungere i nostri fini”.
9. Rivolgendosi alla politica, Rothschild rivendicò il loro DIRITTO di prendere le proprietà con ogni mezzo e senza esitazione se, nel far questo, essi si assicuravano sottomissione e sovranità. Egli dichiarò: “Il nostro STATO, marciando lungo il sentiero della conquista pacifica, ha il DIRITTO di rimpiazzare gli orrori delle guerre con le meno evidenti ma più efficaci sentenze di morte, necessarie a mantenere il “terrore” che genera la cieca sottomissione”.
10. Trattando il tema dell’uso degli “slogan”, Amschel Mayer Rothschild disse: “Nei tempi antichi, siamo stati noi i primi a mettere le parole “Libertà”, “Uguaglianza” e “Fraternità” sulla bocca delle masse. (…) parole ripetute fino ai giorni nostri dagli stupidi pappagalli; parole dalle quali anche il più saggio dei Goyim [per "Goyim" sono intesi i non-ebrei] non potrebbe cavar nulla dalla loro astrattezza, e senza neppure notare la contraddizione del loro significato e inter-relazione”. Egli affermò che queste parole hanno portato sotto la loro direzione e controllo intere “legioni” “che hanno portato le nostre bandiere con entusiasmo”. Egli spiegò che non vi è alcun posto in natura per “Equaglianza”, “Libertà” o “Fraternità”. Egli disse “Sulle rovine dell’aristocrazia naturale e genealogica dei Goyim, noi abbiamo sovrapposto un’aristocrazia del DENARO. La limitazione di quella aristocrazia è la RICCHEZZA che è in mano nostra”.
11. Egli, poi, espose la sua teoria riguardo la guerra. Nel 1773, egli stabilì un princìpio che i Governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, pubblicamente, annunciarono come loro politica comune, nel 1939. Rothschild affermò che la politica dei presenti doveva essere quella di fomentare guerre, ma di dirigere le Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle due parti del conflitto potesse ottenere guadagni territoriali. Egli aggiunse che le guerre dovevano essere dirette in modo tale che le nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondassero sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il potere dei loro “Agentur”.
12. Poi, fu la volta dell’Amministrazione. Rothschild disse ai presenti che dovevano usare la loro ricchezza per favorire l’elezione, in posti pubblici, di candidati che fossero “servili e obbedienti ai nostri comandi, in modo da essere usati come ‘pedine’ nel nostro gioco da uomini ingegnosi e ben addestrati, che noi instaureremo dietro le quinte dei Governi, per agire come consiglieri ufficiali”. Egli, poi, aggiunse: “Gli uomini che noi ‘designeremo’ come ‘Consiglieri’ dovranno essere allevati, coltivati e addestrati sin dalla fanciullezza, in sintonia con le nostre idee, per dirigere gli affari del mondo intero”.
13. Poi, venne il turno della propaganda, e Rothschild spiegò come la loro ricchezza riunita potesse controllare tutte le fonti di informazione pubblica, mentre essi rimarrebbero nell’ombra e al sicuro da ogni attribuzione di colpa, senza curarsi delle ripercussioni causate dalla pubblicazione di libelli, calunnie o falsità. Egli disse: “Grazie alla nostra Stampa, noi abbiamo avuto l’oro nelle nostre mani nonostante il fatto che noi abbiamo dovuto raccoglierlo da oceani di lacrime e sangue… Ma siamo stati ripagati anche se abbiamo dovuto sacrificare molti della nostra gente. Ogni nostra vittima vale mille Goyim”.
14. Egli, in seguito, spiegò la necessità che i loro “Agentur” venissero allo scoperto ed apparissero in scena, quando le condizioni fossero giunte al loro punto più basso, e le masse fossero state già soggiogate con le privazioni e col terrore. Egli indicò che quando fosse giunto il tempo di restaurare l’ordine, essi avrebbero dovuto agire in modo che le vittime fossero indotte a credere di essere state depredate da criminali e da irresponsabili. Egli aggiunse: “Con l’esecuzione dei criminali e dei fanatici, dopo che essi hanno portato a termine il nostro pianificato ‘regno del terrore’, noi dobbiamo apparire come i salvatori degli oppressi ed i campioni dei lavoratori”. Il relatore continuò: “Noi siamo, invece, interessati proprio all’opposto… alla riduzione e all’uccisione dei Goyim”!
15. Rothschild parlò di come provocare la depressione industriale e il panico finanziario e come utilizzarli per servire i loro fini, e spiegò: “La disoccupazione forzata e la fame, imposta alle masse, col potere che noi abbiamo di creare scarsità di cibo, creerà il diritto del Capitale di regnare in modo più sicuro di quanto non fosse quello della vera aristocrazia e dell’autorità legale dei Re”. Egli affermò che, avendo i loro Agentur il controllo della plebaglia, la plebe potrebbe essere usata per spazzar via tutti quelli che oserebbero intralciare il loro piano.
16. L’infiltrazione della Frammassoneria fu discussa in modo estensivo. Rothschild disse che il loro scopo era quello di sfruttare i vantaggi che offriva il segreto massonico. Egli affermò che essi potevano organizzare le loro Logge del Grande Oriente all’interno della Massoneria Azzurra, in modo da continuare le loro attività sovversive e nascondere la vera natura del loro lavoro, sotto la copertura della filantropia. Egli disse che tutti i membri affiliati alle Logge del Grande Oriente dovevano essere usati per il proselitismo e per la diffusione della loro ideologia ateo materialistica tra i Goyim. Egli terminò questa fase della sua presentazione con queste parole: “Quando suonerà l’ora dell’incoronazione del nostro Signore sovrano di tutti i Mondi, queste stesse mani spazzeranno via tutto ciò che potrebbe frapporsi al suo cammino”.
17. Egli espose il valore dell’inganno sistematico, dicendo che i loro agentur dovevano essere addestrati all’uso di frasi altisonanti e di slogan popolari. Essi avrebbero dovuto fare alle masse le promesse più prodighe. Egli osservò: “L’opposto di quello che è stato promesso può essere sempre dato in seguito… e senza conseguenze”. Egli argomentò che, facendo uso delle parole Indipendenza e Libertà, i Goyim potevano essere mossi ad un fervore patriottico tale da farli combattere persino contro le Leggi di Dio e della Natura. Egli aggiunse: “E per questa ragione, dopo aver ottenuto il controllo, il vero NOME DI DIO verrà cancellato dal ‘lessico della vita’”.
18. Egli, poi, dettagliò i piani per la guerra rivoluzionaria; l’arte della battaglia di strada; e delineò il modello del “Regno del Terrore” che – egli insisteva – doveva accompagnare ogni sforzo rivoluzionario “perché è il mezzo più economico per portare la popolazione ad una rapida sottomissione”.
19. Venne poi il turno della Diplomazia. Rothschild disse che, dopo ogni guerra, si deve insistere sulla diplomazia segreta “in modo che i nostri agentur, camuffati da consiglieri ‘politici’, ‘finanziari’ ed ‘economici’, possano portare a termine i nostri ordini, senza timore di esporre “il vero Potere Segreto” dietro gli affari nazionali e internazionali”. Rothschild disse ai presenti che, attraverso la diplomazia segreta, essi dovevano ottenere un tale controllo “che le nazioni non dovevano poter pervenire persino ad un irrilevante accordo privato, senza che i nostri agentur non vi avessero parte”.
20. Il Governo Mondiale come scopo finale. Per raggiungere questo obiettivo Rothschild disse: “Sarà necessario creare dei monopoli immensi e riserve di tale ricchezza colossale che persino le ricchezze più grandi dei Goyim dipenderanno da noi, in tale misura che essi raggiungeranno il fondo, insieme al credito dei loro Governi, NEL GIORNO DOPO LA GRANDE CATASTROFE POLITICA”. Il relatore poi aggiunse: “Voi, gentlemen qui presenti, che siete economisti, potete avere un’idea del significato di questa combinazione”.
21. Guerra economica. Vennero discussi i piani per spogliare i Goym delle loro proprietà terriere e industriali. Rothschild propugnò una combinazione di tasse elevate e competizione sleale per portare alla rovina economica i Goyim nei loro interessi finanziari nazionali e nei loro investimenti. In campo internazionale, egli disse che potevano essere spinti fuori mercato. Questo poteva essere ottenuto con un accurato controllo delle materie prime, con agitazioni organizzate dei lavoratori per avere una riduzione dell’orario di lavoro, ma con aumenti salariali, e con la sovvenzione dei loro concorrenti. Rothschild ammonì i suoi cospiratori che essi dovevano fare in modo che “gli aumenti salariali, ottenuti dai lavoratori, non dovevano beneficiarli in alcun modo”.
22. Armamenti. Fu suggerito di lanciare una corsa agli armamenti in modo tale che i Goyim potessero distruggersi a vicenda, ma su una scala così colossale che alla fine “non rimarranno solo che masse di proletariato nel mondo, con pochi milionari devoti alla nostra causa… e forze di polizia e militari sufficienti a proteggere i nostri interessi”.
23. Il Nuovo Ordine. I membri del Governo Mondiale verranno designati dal Dittatore. Egli sceglierà uomini tra gli scienziati, economisti, finanzieri, industriali, e dai milionari, perché “in sostanza, tutto verrà regolato dal problema dei numeri”.
24. Importanza della gioventù. Rothschild enfatizzò l’importanza di catturare l’interesse della gioventù ammonendo che “I nostri Agentur dovranno infiltrarsi in tutte le classi, a tutti i livelli della società e del Governo, per raggirare, confondere e corrompere i membri più giovani della società, insegnando loro teorie e princìpi che noi sappiamo essere falsi”.
25. Le Leggi Nazionali e Internazionali non devono essere modificate, ma usate come sono per distruggere la civilizzazione dei Goyim “semplicemente col torcerle nella contraddizione dell’interpretazione che prima maschera la legge, e poi la nasconde completamente. Il nostro scopo finale è quello di sostituire l’ARBITRATO alla LEGGE”. Mayer Rothschild, poi, disse alla sua udienza: “Voi potrete pensare che i Goyim si solleveranno contro di noi con le armi, ma, nell’OCCIDENTE, contro questa possibilità, noi abbiamo un’organizzazione di un tale terrore terrificante da far tremare anche i cuori più gagliardi… gli “Underground”… i “Metropolitani”… i corridoi sotterranei… questi saranno creati nelle capitali e nelle città di tutti i paesi, ancor prima che questo pericolo ci possa minacciare”.
Fonte: http://www.stampalibera.com/?p=40742
http://dioni.altervista.org/NWO/dioni_0286.html

 Nel 1981 fu abolita la riserva obbligatoria che le altre banche dovevano depositare presso la banca centrale in misura proporzionale ai loro depositi. https://it.wikipedia.org/wiki/Riserva_frazionaria#Composizione

LA BATTAGLIA DI WATERLOO

 


Torniamo ora per un momento a Napoleone. Questo episodio dimostra appropriatamente la furbizia della famiglia Rothschild nell’acquisizione del controllo del mercato azionario inglese dopo Waterloo.

Nel 1815, un anno dopo la fine della guerra del 1812, Napoleone fuggì dal proprio esilio e ritornò a Parigi. Delle truppe francesi furono inviate a catturarlo, ma il suo carisma era tale che i soldati accorsero in aiuto del loro vecchio comandante e lo acclamarono di nuovo come loro Imperatore; Napoleone tornò a Parigi come un eroe. Re Luigi scappò in esilio e Napoleone ascese nuovamente al trono di Francia – stavolta senza che venisse sparato nemmeno un colpo.

Nel marzo del 1815, Napoleone mise in piedi un esercito che l’inglese Duca di Wellington sconfisse meno di 90 giorni più tardi a Waterloo. Egli prese a prestito cinque milioni di sterline dalla banca Ouvard di Parigi per riarmare le truppe; nondimeno, da allora in avanti, non fu più inusuale che banche centrali a controllo privato in una guerra finanziassero entrambi i contendenti.

Perché una banca centrale in una guerra dovrebbe finanziare i fronti opposti? Perché la guerra è il più grande generatore di debiti in assoluto. Una nazione per vincere prenderà a prestito qualsiasi somma.

Al perdente finale viene prestato solo quel tanto sufficiente a conservare una vaga speranza di vittoria, mentre al vincitore finale viene dato quanto basta a vincere. Oltre a ciò, i prestiti di questo tipo vengono normalmente concessi con la garanzia che il vincitore onorerà i debiti dello sconfitto; solo i banchieri non possono perdere.

Il luogo della battaglia di Waterloo si trova a circa 200 miglia a nordest di Parigi, nell’attuale Belgio; lì Napoleone subì la sua ultima sconfitta, tuttavia non prima che migliaia di francesi e inglesi perdessero le proprie vite in un umido mattino del giugno del 1815.

Quel giorno, il 18 giugno, 74.000 soldati francesi si scontrarono con 67.000 soldati britannici e di altre nazioni europee; l’esito era sicuramente incerto e, in effetti, se Napoleone avesse attaccato qualche ora prima, probabilmente avrebbe vinto la battaglia.

Tuttavia, indipendentemente da chi fossero i vincitori e i perdenti, Nathan Rothschild di ritorno a Londra utilizzò l’opportunità di acquisire il controllo del mercato azionario britannico; i Rothschild contestano aspramente il resoconto che segue.

Rothschild piazzò sul lato nord del campo di battaglia, vicino alla Manica, un agente fidato, tale Rothworth. Una volta che l’esito della battaglia fu deciso, Rothworth si diresse verso la Manica e diede a Nathan Rothschild le notizie fresche ventiquattr’ore prima del corriere personale di Wellington.

Rothschild si recò velocemente alla Borsa e occupò il suo posto usuale di fronte a un’antica colonna; tutti gli occhi erano su di lui. I Rothschild disponevano di una leggendaria rete di comunicazione. Se Wellington era stato sconfitto e Napoleone di nuovo in giro per il continente, la situazione finanziaria britannica avrebbe preso certamente una pessima piega. Rothschild appariva affranto, se ne stava immobile, gli occhi rivolti a terra. Poi, improvvisamente, iniziò a vendere.

Gli altri nervosi investitori videro che Rothschild stava vendendo; questo poteva significare solo una cosa: Napoleone doveva aver vinto e Wellington doveva essere stato sconfitto. La Borsa andò a picco. Ben presto tutti si trovarono a vendere i propri titoli consolidati - obbligazioni del governo inglese ed altre azioni - e i prezzi calarono. Poi Rothschild ed i suoi alleati finanziari iniziarono segretamente a comprare tramite i propri agenti.

Pensate che si tratti di un mito, di una leggenda? Un centinaio di anni dopo, il New York Times riportò la notizia secondo cui il nipote di Nathan Rothschild aveva tentato di procurarsi la sentenza di una corte per eliminare un libro contenente questa vicenda della Borsa; la famiglia Rothschild dichiarò che questa storia era falsa e diffamatoria, tuttavia la corte respinse la richiesta dei Rothschild ed ingiunse alla famiglia di pagare tutte le spese processuali.

Quello che risulta ancora più interessante di tutta questa faccenda, è che alcuni autori affermano che il giorno dopo la battaglia di Waterloo, nel giro di poche ore, Nathan Rothschild ed i suoi alleati finanziari acquisirono il dominio non solo del mercato azionario ma anche della Banca d’Inghilterra. (Una caratteristica interessante di alcuni titoli consolidati era che potevano essere convertiti in azioni della Banca d’Inghilterra)

L’apparentamento con i Montefiore, i Cohen e i Goldsmith - dinastie bancarie stabilitesi in Inghilterra un secolo prima dei Rothschild - aumentò il controllo finanziario dei Rothschild; tale controllo venne ulteriormente consolidato tramite l’approvazione del Peel’s Bank Charter Act del 1844.

Che la famiglia Rothschild e relativi alleati finanziari abbiano acquisito o meno il completo controllo della Banca d’Inghilterra (la prima e più ricca banca centrale di proprietà privata in una importante nazione europea) in questo modo, una cosa è certa: verso la metà del 1800 i Rothschild erano la famiglia più ricca del mondo, nessuno eccettuato. Essi dominavano i mercati delle nuove obbligazioni statali e aprirono filiali presso altre banche e imprese industriali in tutto il mondo; inoltre dominavano una costellazione di famiglie secondarie meno influenti, come i Warburg e gli Schiff, che accomunarono la loro vasta ricchezza a quella dei Rothschild.

Infatti la seconda metà del 19mo secolo fu nota col nome di “Era di Rothschild”. Lo scrittore Ignatius Balla stimò che la loro ricchezza personale nel 1913 ammontasse ad oltre due miliardi di dollari.

Ricordate che il potere d’acquisto del dollaro era maggiore di più del 1.000 per cento rispetto ad oggi.

Nonostante questa schiacciante ricchezza, la famiglia in genere ha coltivato un’aura di invisibilità e sebbene essa controlli gli introiti di società bancarie, industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una manciata di esse porta il loro nome. Alla fine del 19mo secolo un esperto stimò che la famiglia Rothschild controllasse la metà della ricchezza mondiale.

Qualunque sia l’entità della loro vasta ricchezza, è ragionevole presumere che la loro percentuale della ricchezza mondiale da allora sia aumentata spettacolarmente, poiché il potere persegue il potere ed il desiderio di esso.

Tuttavia con l’arrivo di questo secolo, i Rothschild hanno attentamente coltivato la nozione che il loro potere sia in qualche modo diminuito, anche se la loro ricchezza e quella dei loro alleati finanziari aumenta in concomitanza con il loro controllo di banche, società indebitate, media, politici e nazioni, il tutto tramite delegati, agenti, candidati e consigli di amministrazione interconnessi, che mantengono il loro ruolo nell’ombra. http://www.nwo.it/banche.html


STORIA SEGRETA DELLA BANCA D'INGHILTERRA


Articolo di Stephen Goodson – tratto da “Rinascita”

Dall’A.D. 757 fino alla morte nel 791, il grande Re Offa governò il regno di Mercia, uno dei sette regni autonomi della eptarchia anglosassone.

Offa era un saggio ed abile amministratore dal cuore gentile, benchè fosse duro con i suoi nemici.

Egli fondò il primo sistema monetario in Inghilterra (diversa dalla Britannia romano-celtica). Causa la scarsità di oro, usò l’argento per il conio e come riserva di ricchezza.

L’unità di conto monetaria era una libbra di argento, divisa in 240 pennies. Sui pennies veniva impressa una stella (antico inglese “stearra”), dalla quale deriva la parola “sterling”.

Nel 787 Offa introdusse una legge che proibiva l’usura, cioè caricare di interesse il presttito della moneta.

Le leggi contro l’usura furono ulteriormente rafforzate dal Re Alfredo (r. 865- 99) che ordinò la confisca delle proprietà degli usurai, mentre nel 1050 Edoardo il Confessore (1042-66) decretò non solo la confisca, ma anche che l’usuraio fosse dichiarato fuorilegge e condannato al bando perpetuo.

PRIMA MIGRAZIONE ED ESPULSIONE EBRAICA

Gli ebrei giunsero per la prima volta in Inghilterra nel 1066 in seguito alla sconfitta di Harold II ad Hastings provocata da Guglielmo I il 14 ottobre. Questi ebrei arrivarono da Rouen, 75 miglia da Falaise, dove Guglielmo venne al mondo illegittimamente come Guglielmo il Bastardo.

Nonostante le registrazioni storiche non dicano se essi appoggiarono l’idea di una invasione militare dell’Inghilterra, questi ebrei per lo meno la finanziarono.

Per questo sostegno essi furono riccamente remunerati permettendo loro di praticare l’usura sotto la protezione reale.

Le conseguenze per il popolo inglese furono disastrose.

Facendo pagare ratei di interesse del 33% l’anno sui terreni ipotecati dai nobili ed il 300% l’anno sugli strumenti di mestiere e su tutti i beni impegnati dai lavoratori, entro due generazioni un quarto di tutte le terre inglesi cadde nelle mani degli usurai ebrei.

Inoltre questi immigrati minavano l’etica delle corporazioni ed infuriavano i mercanti inglesi vendendo una gran quantità di merce “sotto lo stesso tetto” (con una singola licenza).

Ebbero inoltre un ruolo primario nel limare le monete d’argento fondendo la limatura in lingotti e placcando d’argento lo stagno.

Il famoso economista Dr. William Cunningham paragona l’attività degli ebrei in Inghilterra dall’11° secolo in poi ad una spugna, che succhia tutta la ricchezza della terra e ne compromette lo sviluppo economico.

E’ interessante notare che vi sono le prove che perfino in questo periodo iniziale il Governo fece tutto ciò che era in suo potere per indurre gli ebrei a commerci decenti e lavoro onesto e quindi amalgamarsi con il resto della popolazione, ma senza successo.

Nel 1233 e nel 1275 furono approvati gli statuti sulla Giudea che abolivano qualsiasi forma di usura.

Siccome gran parte di questi ebrei non potevano “guadagnarsi da vivere”, fu approvata una legge del Re Edward I (1272-1307) il 18 luglio1290 che obbligava tutta la popolazione ebraica di 16.000 persone a lasciare l’Inghilterra per sempre.

A differenza della pratica moderna di pulizia etnica, agli ebrei, dopo il pagamento di 1/15° del valore dei loro beni e 1/10° delle loro monete, fu permesso di uscire con tutti i loro beni ed attrezzi.

Qualsiasi ebreo che restasse in Inghilterra dopo il 1° novembre 1290 (Tutti i Santi) era passibile di esecuzione.

IL GLORIOSO MEDIO EVO

Con il bando dei prestatori di denaro e l’abolizione dell’usura, c’erano ben poche tasse da pagare e nessun debito statale, perché il Governo usava i “tally sticks” (bastoni di legno con le tacche), denaro senza interessi.

L’Inghilterra ora godeva un periodo di sviluppo e prosperità senza paragoni.

Il lavoratore medio lavorava solo 14 settimane l’anno e godeva da160 a 180 giorni di festivi.

Secondo Lord Leverhulme, uno scrittore dell’epoca: “Gli uomini del 15° secolo erano molto ben pagati “, così bene che il potere d’acquisto delle loro paghe ed il loro standard di vita sarebbe stato superato solo nel tardo 19° secolo.

Houston Stewart Chamberlain, il filosofo anglo-tedesco, conferma queste condizioni di vita ne “ The Foundations of the XIX Century”: “Nel 13° secolo, quando le razze teutoniche cominciarono a costruire il loro nuovo mondo, l’agricoltore in quasi tutta l’Europa era un uomo libero, con una assistenza più assicurata di quanto lo sia oggi.

La proprietà del terreno era la regola, cosicchè l’Inghilterra, oggi sede del latifondo – era fino al 15° secolo quasi interamente in mano a migliaia di agricoltori, che non solo erano proprietari legittimi della loro terra, ma possedevano in aggiunta il diritto al libero accesso a pascoli e boschi comuni”.

FINE DELL’ETA’ DELL’ORO

Durante il 17° secolo questa età dell’oro si concluse tragicamente.

Un gran numero di ebrei che erano stati espulsi dalla Spagna nel 1492 da Isabella I di Castiglia e da Ferdinando II di Aragona si stabilirono in Olanda.

Benché gli olandesi all’epoca fossero una potenza marittima, gli usurai ebrei che si erano stabiliti ad Amsterdam desideravano ritornare in Inghilterra, dove le prospettive per espandere le operazioni di prestiti di denaro erano più promettenti.

Durante il regno della Regina Elisabetta I (1558-1603) piccoli gruppi di “marrani” – ebrei spagnoli che si erano convertiti ad una forma di falso cristianesimo – si stabilirono a Londra.

Molti di essi erano orafi, accettavano depositi di oro in custodia e quindi emettevano ricevute dieci volte l’ammontare dell’oro custodito come ricevute di oro, cioè prestiti con interesse.

Queste ricevute, precursori del sistema fraudolento di riserva frazionaria delle banche, erano all'’inizio prestate alla Corona o al tesoro all’8% l’anno, ma secondo Samuel Pepys, diarista e segretario dell’Ammiragliato, il rateo di interesse aumentò fino al 20% o addirittura il 30% l’anno.

L’ interesse che i mercanti pagavano spesso eccedeva il 33% l’anno, anche se il rateo legale era il 6% l’anno.

Operai e bisognosi sopportavano il peso di questi interessi estorsivi dovendo pagare 60%, 70% o fino all’80% l’anno.

Secondo Michael Godfrey, autore dell’opuscolo intitolato “A short Account of the Bank of England”, da 2 a 3 milioni di sterline si erano perdute per bancarotta di orafi e scomparsa dei loro commessi.

Nel 1534, con la Legge sulla Supremazia, la chiesa d’Inghilterra fu dichiarata religione ufficiale dal Re Enrico VIII (1509-1547).

Durante i secoli 16° e 17° le credenze puritane basate sugli insegnamenti di John Wycliffe e John Calvin guadagnarono un crescente numero di aderenti.

I Puritani consideravano la Bibbia la vera Legge di Dio e incoraggiavano la sua lettura, la preghiera ed i sermoni e la semplificazione del rituale dei sacramenti.

Il Re Stuart Charles I (1625-1649), che desiderava mantenere la preminenza della chiesa anglicana, giunse ad aspro conflitto con i Puritani, che stavano facendo grandi progressi nel proselitismo della intera popolazione.

Dopo l’assassinio dell’amico fidato e consigliere di Carlo, il duca di Buckingham, nel 1628, gradualmente si isolò dalla gente.

Le crescenti divisioni religiose fornirono la perfetta opportunità di sfruttamento ai cospiratori ebrei.

Come scrisse Isaac D'Israeli, il padre del Primo Ministro Benjamin Disraeli ne “The Life and Reign of Charles I” “la nazione fu artatamente divisa fra Sabatariani e violatori del Sabato".

Nel 1640 uno dei capi della comunità ebraica clandestina Fernandez Carvajal, mercante e spia, conosciuto anche come “The Great Jew”, organizzò una milizia armata di circa 10.000 membri, che furono utilizzati per intimidire i londinesi e seminare la confusione.

Furono distribuiti un gran numero di opuscoli e volantini.

Ben presto scoppiò la guerra civile fra i Realisti (Anglicani) e “Rounbdheads” (Puritani) che durò dal 1642 al 1648.

I Roundheads con il loro esercito “New Model Army” furono vittoriosi e si stima che morirono190.000 persone, il 3,8% della popolazione.

Il capo dei Roundheads (o Parlamentaristi) era Oliver Cromwell (1599-1658), il cui esercito “NewModel Army” non solo era attrezzato e approvvigionato dal capo imprenditore ed agitatore di mestiere, Fernando Carvajal, ma anche rifornito di denaro dagli ebrei prestatori di soldi di Amsterdam.

Il capo degli ebrei olandesi, Monasseh ben Israel, inviò una petizione a Cromwell chiedendogli che fosse permesso agli ebrei di immigrare in Inghilterra in cambio dei favori finanziari, da lui generosamente forniti.

L’ASSASSINIO DI RE CARLO I

Il tradimento a cui si abbassò Cromwell è rivelato nella corrispondenza fra lui e la sinagoga di Muelheim (Germania): “16 giugno 1647. da A.C. (Oliver Cromwell) a Ebener Pratt: In cambio del sostegno finanziario sosteniamo l’ammissione degli ebrei in Inghilterra.

Questo è impossibile con Re Charles vivente.

Charles non può essere giustiziato senza processo, non esistono al momento ragioni adeguate.

Quindi consigliamo che Charles sia assassinato, non sarà difficile procurare un assassino, che lo aiuterà a fuggire”.

La risposta: “Ad Oliver Cromwell da Ebebener: Forniremo aiuto finanziario appena Carlo sarà rimosso e gli ebrei riammessi.

L’assassinio è troppo pericoloso.

A Charles sarà data l’opportunità di fuggire: la sua cattura giustificherà il processo e l’esecuzione.

Il sostegno sarà liberale, ma non è il caso di discutere i termini fino a quando comincerà il processo”.

Re Charles era trattenuto come virtuale prigioniero a Holmy House, Northamptonshire.

Il 4 giugno 1647,... 500 rivoluzionari catturarono il Re, ma gli consentirono di fuggire all’isola di Wight, dove fu in seguito arrestato.

Il 5 dicembre 1648 la Camera dei Comuni decise “che le concessioni del Re erano soddisfacenti per un accomodamento”.

Cromwell quindi epurò la Camera dei Comuni con l’assistenza del colonnello Pryde fino a quando rimase un gruppetto di 50 membri, che votarono opportunamente che il Re fosse processato.

Non un singolo avvocato se la sentiva di vergare un atto di accusa contro il Re.

Alla fine fu un ebreo olandese che provvide alla bisogna, Isaac Dorislaus.

Il Re fu costretto a partecipare ad un processo spettacolo in una Alta Corte di Giustizia nella quale due terzi dei suoi membri erano ””levellers” (agitatori cromwelliani) dell’esercito.

Il Re Charles rifiutò di chiedere la grazia, ma fu dichiarato colpevole e giustiziato il 29 gennaio 1649.

Quando la processione si avvicinò al patibolo, moltissimi componenti della folla gridarono: “God save the King!”

Quando tutto fu finito si udirono molti gemiti di angoscia.

SECONDA IMMIGRAZIONE EBRAICA

Dal 7 al 18 dicembre 1655 Cromwell tenne una conferenza a Whitehall allo scopo di ottenere l’approvazione per l’immigrazione su vasta scala degli ebrei.

Nonostante la sala fosse gremita di sostenitori di Cromwell, la schiacciante maggioranza dei delegati, in massima parte preti, legali e mercanti, votò contro l’ingresso degli ebrei in Inghilterra.

Nell’ottobre 1656 ai primi ebrei fu surrettiziamente permesso di entrare liberamente in Inghilterra, nonostante forti proteste registrate dal sottocomitato del Consiglio di Stato, che dichiarò che questi ebrei “sarebbero stati una grave minaccia per lo Stato e per la religione cristiana”.

I mercanti, senza eccezione, parlarono contro l’ammissione degli ebrei.

Essi dichiararono che gli immigranti proposti sarebbero stati “moralmente pericolosi per lo Stato e che la loro ammissione avrebbe arricchito gli stranieri a spese degli inglesi” .

Cromwell morì il 3 settembre 1658, succeduto dal figlio, Richard, che governò per nove mesi.

Charles II (1660-1685), figlio del giustiziato Charles I, succedette al padre.

Nonostante egli fosse l’ultimo monarca inglese ad emettere banconote con pieno diritto, fece due errori fatali nell’esercizio del potere.

Il 1° agosto 1663 approvò la legge eufemisticamente di sondaggio per l’incoraggiamento del commercio che permise l’”esportazione di tutte le monete straniere, lingotti d’oro o d’argento, liberi da interdizione, regolamentazione o imposte di qualsiasi genere”.

Tre anni più tardi con la legge per l’ incoraggiamento della coniatura permise a privati, bancari ed orefici di coniare le monete del regno nella zecca reale e con ciò acquisire i considerevoli benefici del reddito del signoraggio per loro conto privato.

Il regno di suo fratello James II (1685-1688) durò appena tre anni.

Egli fu vittima di opuscoli senza scrupoli e propaganda, provenienti in gran parte dall’ Olanda.

Una spedizione militare condotta dal principe William d’Orange alla fine lo detronizzò.

Benchè l’esercito di James fosse numericamente superiore, fu scoraggiato dall’attaccare dopo che John Churchill, primo duca di Marlborough, lo aveva improvvisamente abbandonato.

Secondo l’enciclopedia ebraica, Churchill ricevette uno stipendio annuale di 6.000 sterline dall’ebreo olandese Solomon Medina in pagamento della sua condotta traditrice.

La campagna militare di William d’Orange come quella dell’altro William il Conquistatore nel 1666 era stata finanziata da banchieri ebrei.

In cambio del loro appoggio William III (1689-1702) avrebbe trasferito le prerogative reali di emettere la valuta dell’Inghilterra libera da debito ed interesse ad un consorzio conosciuto come “Governor and Company of the Bank of England.”

A.N. Field in “All these Things” riassume questi gravi momenti come segue: “Trentatre anni più tardi dopo che Cromwell aveva ammesso gli ebrei in Inghilterra, un principe olandese arrivò da Amsterdam circondato da uno sciame di ebrei di quel centro finanziario.

Estromettendo suo suocero dal regno, graziosamente accettò di ascendere al trono d’Inghilterra.

Un risultato naturale che seguì questo evento fu la inaugurazione del debito nazionale in seguito alla fondazione della Banca d’Inghilterra allo scopo di prestare denaro alla Corona.

L’Inghilterra aveva sempre pagato di tasca sua fino all’arrivo degli ebrei.

Si aprì in quel momento il monte di pietà e la risultante situazione in cui si trova oggi non potrebbe essere descritta meglio delle parole che Shakespeare con visione profetica mette in bocca al morente John de Gaunt: “This blessed plot, this earth, this realm, this England … ./this land of such dear souls, this dear, dear land/Dear for her reputation through the world,/is now leas’d out, (I die pronouncing it,/like to a tenement, or :/or pelting farm/England, bound in with the triumphant sea,/Whose rocky shore beats back the envious siege/Of wat’y Neptune, is now bound in with shame,/with inky blots,and rotten parchment bonds: /That England, that was wont to conquer others,/Hath made a shameful conquest of itself.” (Richard II, Act 2, Scene 1).

La storia del secondo insediamento ebraico in Gran Bretagna è una lunga scia di obbligazioni di pergamena che incatenano la nazione al debito.

Ogni passo dell’ascesa ebraica negli affari della nazione è stato contrassegnato dall’aumento e moltiplicazione del debito.

LA BANCA D’INGHILTERRA

La necessità di una banca centrale privata fu affrontata da un pirata in pensione, William Paterson, quando scrisse un opuscolo nel 1693 intitolato “A Brief Account of the intended Bank of England”.

Si sarebbe più avanti vantato che “questa banca avrebbe il beneficio dell’interesse sul denaro che egli avrebbe creato dal nulla”.

Il 21 giugno 1694 si aprirono le liste di sottoscrizione della banca, che aveva un capitale di 1.200.000 sterline.

Il seguente lunedì questa somma era stata interamente sottoscritta.

Lo scopo apparente della banca era di prestare al Re William somme illimitate all’8% annuo per permettere la prosecuzione della guerra, ed in particolare il conflitto contro Luigi XIV di Francia.

La banca avrebbe quindi ricevuto dalla Corona interesse di 100.000 sterline all’anno, le ulteriori 4.000 sterline come imposta amministrativa.

La banca acquistò inoltre il diritto di emettere 1.200.000 sterline in banconote senza copertura aurea.

Prima degli elenchi, gli statuti della banca erano attentamente esaminati da Serjeant Levinz allo scopo di accertare che la banca si attenesse ai suoi scopi nascosti, cioè derubare perpetuamente il popolo inglese permettendo la creazione della moneta nazionale e mezzi di scambio dal nulla, con interessi.

Tutto questo denaro contraffatto era accompagnato da interesse composto.

Levinz era un ebreo di Amsterdam che praticava l’avvocatura.

Ci fu forte opposizione alla fondazione della banca.

I più contrari erano gli orefici ed i prestatori di denaro, che a buona ragione temevano che essa avrebbe condotto al loro usuraio racket della riserva frazionaria bancaria fondata sulle loro ricevute di oro.

I proprietari di case e la piccola nobiltà terriera temevano una scalata dei ratei di interesse poiché la banca avrebbe tenuto sotto controllo la circolazione monetaria della nazione.

C’erano affermazioni che la banca avrebbe favorito certi mercanti con bassi ratei di interesse.

Il più grande timore era che la banca sarebbe cresciuta troppo potente e sarebbe divenuta la pietra angolare del commercio mondiale.

Sfortunatamente è esattamente ciò che accadde, quando la Banca d’Inghilterra diventò il modello sul quale furono copiate le altre banche centrali.

A quell’epoca la Camera dei Comuni aveva 512 membri, di cui 243 Tories, 241 Whigs e 28 membri di cui non conosciamo l’orientamento.

Circa due terzi dei membri erano gentiluomini di campagna e si crede che di 512 membri il 20% di essi fosse illetterato.

La legge fu dibattuta nel luglio 1694, nel pieno dell’estate, quando la maggior parte dei membri rurali erano occupati negli affari della campagna e nella raccolta della produzione agricola.

In quel fatale venerdì 27 luglio 1694, quando fu concesso l’atto costitutivo, solo 42 membri erano presenti, tutti Whigs, poiché i Tories avversavano la legge (questo dimostra come fosse composto il quorum all’epoca).

Il titolo della Legge non faceva menzione della proposta Banca d’Inghilterra, che è descritta solo, o meglio, secretata, con un inintelligibile linguaggio per i profani.

Le parole della Legge cominciavano come segue:”William and Mary by the grace of God, King and Queen of England, Scotland, France and Ireland, defenders of the faith, etc. To all for whom these presents shall come greetings. …”

La terza frase, contenente 242 parole, comincia: “Whereas in and by a certain Act made in Parliament entitled an Act for granting to Their Majesties several rates and duties upon tonnage of ships and vessels, and upon beer, ale, and other liqueurs, for securing certain recompenses and advantages in the said Act mentioned, to such persons as shall voluntarily advance the sum of fifteen hundred thousands pounds towards carrying on the war it is amongst other things enacted….. .”

L’essenza dei primi due terzi della legge elenca la necessità di imporre un complicato insieme di nuove aliquote di tasse e imposte su navi, birra, liquori.

Il vero motivo di queste tasse era la necessità di pagare gli interessi sui futuri prestiti governativi.

Poco dopo furono introdotte ulteriori tasse inclusi imposta fondiaria, tassa su carta da parati, testatico (imposta su ogni persona sopra i quindici anni, tassa sul sale, imposta di bollo, imposta sulle finestre, che rimpiazzava la tassa sul focolare o tassa sulla ciminiera.

Altre tasse introdotte furono la tassa sui venditori ambulanti, tassa su carrozze di noleggio, tassa sulle nascite e sui matrimoni e funerali e per finire la tassa sugli scapoli.

Comunque, la più punitiva delle tasse introdotte fu l’imposta sull’entrata, riscossa al 20%.

Fu applicata non solo sulle società, ma anche sugli individui.

GUERRA E SCHIAVITU’ DEL DEBITO

Da quel momento sarebbe emerso il disegno di preparare guerre non necessarie che avrebbero elevato istantaneamente il debito nazionale e i profitti degli usurai.

Significativamente, molte di queste guerre furono iniziate contro Paesi che avevano attuato sistemi di banche statali senza interesse, come fu il caso delle colonie nordamericane e Francia sotto Napoleone.

Questo schema di attaccare ed imporre il sistema bancario dell’usura è stato largamente impiegato nell’era moderna e comprende la sconfitta della Russia imperiale nella I Guerra mondiale, Germania, Italia e Giappone nella Seconda, e recentemente Libia nel 2011.

Questi erano Paesi che avevano sistemi bancari statali, che distribuivano la ricchezza prodotta su basi uguali e provvedevano ai loro popoli con una qualità di vita di gran lunga superiore a quella dei loro rivali e controparti.

Entro due anni dalla sua fondazione nel 1696 la Banca d’Inghilterra aveva un valore circolante in banconote di 1.750.000 con una riserva aurea solo del 2% o 36.000 sterline.

Il 1 maggio 1707 si ebbe l’unione fra Inghilterra e Scozia, motivata in gran parte dalla necessità di assumere il controllo della zecca reale di Edimburgo, che ebbe luogo nel 1709.

Nel 1720 dopo la conclusione della Guerra di Successione spagnola (1701-1714) il debito nazionale era salito a 30 milioni di sterline con un costo della guerra stessa di 50.000.000 di sterline.

Dopo la guerra di indipendenza americana (1776-1883) che si combatté dopo che i colonialisti avevano obbligato i coloniali a rimpiazzare la loro valuta senza debito con moneta inglese, il che risultò in una disoccupazione del 50% ed il debito nazionale schizzò a 176 milioni di sterline.

Nel 1786 il Primo Ministro Wiliam Pitt il Giovane cercò di abolire il debito nazionale con un accantonamento periodico che generò interessi di 1 milione di sterline l’anno per pagare il debito.

Questo schema fu presto abbandonato per l’enorme aumento riscontrato per finanziare la guerra contro Napoleone.

Nel 1797 allo scopo di pagare il peso crescente dell’interesse si dovette introdurre una graduale tassa sull’entrata.

La guerra contro Napoleone durò dal 1792 al 1815.

Fra i principali obbiettivi di questo sanguinoso conflitto c’era la distruzione del sistema finanziario napoleonico senza debito e senza interessi.

Il 18 gennaio 1800 Napoleone fondò la Banque de France come banca di Stato.

Poiché Napoleone detestava i banchieri si autonominò Governatore della banca ed anche Ministro del Tesoro.

Durante questo periodo l’Inghilterra intraprese una guerra contro gli Stati Uniti dal 1812 al 1814.

Questa guerra fu fomentata dalla Gran Bretagna dopo che il Congresso degli Stati Uniti rifiutò di rinnovare la carta della banca degli Stati Uniti di proprietà straniera, che era stata la banca centrale americana dal 1791 al 1811.

Nel 1815 il debito nazionale era ingigantito a 885 milioni di sterline.

Questa guerra inutile e non vincibile che ebbe il risultato di tre milioni di morti fra il personale militare ed almeno un milione di civili, costò 831 milioni di sterline, di cui più di 2,5 miliardi di sterline erano ancora in sospeso nel 1914.

Il capitale di 504 milioni di sterline aumentò di cinque volte per gli interessi composti.

Un astuto agrario e parlamentare, William Cobbett (1763-1835) percepì che cosa stava succedendo, e scrisse quanto segue: “I set to read the Act of Parliament by which the Bank of England was created.

The investors knew what they were about . . . lands . . . houses . . . property . . . labour.

The scheme has produced what the world never saw before: starvation in the midst of abundance.

Gli affari della Banca d’Inghilterra restarono segreti, e non fu prima del 1833, 139 anni più tardi, che una versione edulcorata fu presentata in Parlamento mediante la Legge del 1833.

Nel 1800 un deputato, Sir William Pultney, propose la formazione di una banca nazionale dopo avere sferrato “vigorosi attacchi” contro la banca.

Nel 1924 un altro membro del Parlamento, David Ricardo, presentò un piano dettagliato per convertire la Banca d’Inghilterra in Banca Nazionale.

Entrambi i tentativi fallirono.

All’inizio della Prima G.M. nel 1914, il debito nazionale inglese stava a 650 milioni di sterline.

Il 31 marzo 1919 era aumentato a 7.434 miliardi di sterline, di cui 3 miliardi sono ancora in sospeso dopo 94 anni con lo sconto del 3,5% l’anno.

Nella Seconda G.M. il debito nazionale salì di circa il 200%, da 7,1 miliardi nel 1939 a 20,1 miliardi nel 1945.

Attualmente si aggira a quasi 1,2 trilioni di sterline.

CONCLUSIONE

Per oltre 300 anni l’Inghilterra è stata trascinata nella schiavitù da una cricca di banchieri internazionali senza scrupoli, il cui impero parassitario minaccia l’esistenza di questa nazione-isola.

L’orgoglioso popolo di piccoli proprietari terrieri e contadini di una volta, per ignoranza ed indifferenza, è diventato un crogiolo multiculturale di schiavi del debito nazionale.

A meno che i suoi cittadini autentici non si assumano la responsabilità di familiarizzare con la vera natura del loro problema, sono destinati entro poche generazioni ad irreversibile schiavizzazione e distruzione genetica.

Stephen Goodson


Note finali:
Le note finali sono troppo lunghe da tradurre.
Consigliamo di consultare il testo originale

Note sull’Autore:
Stephen Goodson è il capo del partito “Abolition of Income Tax and Usury Party” in Sudafrica. Ha studiato economia e giurisprudenza alla Stellenbosch University e all’ Università di Ghent. Per 15 anni ha gestito investimenti di portafoglio in varie istituzioni finanziarie. E’ attualmente un direttore della South African Reserve Bank.

Tratto da “The Barnes Review” vol XVIII n.5 set/ott 2012

Tradotto da Alfio Faro
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Chiesa cristiana e usura

Periodo Alto Medievale

L'atteggiamento che ha avuto la chiesa cristiana nei confronti dell'usura teoricamente è sempre stato piuttosto netto, sicuramente più netto di quello della cultura ebraica, che poneva il divieto entro i confini del solo giudaismo, tra aderenti alla medesima confessione ebraica, ma lo tollerava tranquillamente nei rapporti con gli stranieri di religione pagana (cfr Dt 28,12; 23,20; Es 22,24; Lv 25,35 ss; Sal 15,5; Pr 28,8; Ez 18,13ss; 22,12 ecc.).

Sappiamo comunque che anche il divieto ebraico restava un lontano ideale, in quanto la Legge in più punti prescriveva dei limiti al creditore nell'esigere pegni (cfr Es 22,25; Am 2,8; Gb 24,3.9; Dt 24,6; 24,10), proprio per non far diventare il povero lo schiavo di un proprio connazionale (cfr Lv 25,39ss; Am 2,6; Ne 5,1-13).

D'altra parte i tassi praticati da Israele non superavano mai quelli delle civiltà ad essa coeve (p.es. nel codice Hammurabi si arriva fino a 50-70%).

Nel periodo ellenistico si arrivò (se si esclude l'Egitto dove rimase al 24%) a un tasso ragionevole dell'8-10%. Nel I secolo d.C. un decreto imperiale lo fissò al 12% nelle province d'Asia.

Nella legislazione giustinianea troviamo i primi “massimali” relativi all'usura su base annua: i senatori non potevano chiedere più del 4%, la maggior parte della popolazione non poteva chiedere più del 6%, gli uomini d’affari non potevano superare l’8%; ma per i prestiti marittimi, ad alto rischio, si poteva giungere sino al 12%.

Sotto l'imperatore Niceforo (802-811) si proibì ai sudditi di riscuotere interessi: solo lo Stato poteva farlo al 16,66%. Anche Basilio I (867-86) proibì l'usura.

E’ evidente che con queste misure si tentava di salvare capra e cavoli: da un lato si scoraggiava la partecipazione dell’aristocrazia al mercato dei capitali, dall’altro si permetteva che venissero richiesti interessi superiori al 6% generalizzato, al fine di incoraggiare le spedizioni a rischio.

Tuttavia nell'XI il tasso ufficiale d'interesse, ch'era andato aumentando progressivamente in base al corso della moneta, arrivò al 5,5% per le persone di alto rango, al 8,33% per la maggior parte della popolazione e al 11,71% per gli uomini d'affari.

Questo significa che, malgrado la condanna religiosa del prestito ad interesse, gli imperatori bizantini, realisti, non tentarono mai seriamente di proibirlo; piuttosto, scelsero di autorizzarlo per meglio controllarlo. Quanto alla chiesa, essa si limitava a condannare gli ecclesiastici che la praticavano.

Ostrogorsky afferma che "sebbene l'usura fosse contraria alla moralità medievale, la proibizione di prestare a usura era molto rara a Bisanzio. Le esigenze dell'economia monetaria, molto sviluppata nell'impero, ignoravano i precetti della morale e il prestito a usura era stato in ogni tempo molto diffuso a Bisanzio"(Storia dell'impero bizantino, Einaudi, p. 171).

Generalmente l'usura si forma quando si è in presenza di un'economia mercantile e di antagonismi sociali. Il fatto che l'usura avesse dei tassi ufficiali regolamentati dallo Stato può far pensare anche al fatto, oltre al mercantilismo e alle classi contrapposte, vi fosse da parte delle istituzioni il tentativo di far valere alcuni valori etico-religiosi volti a impedire che il fenomeno dilagasse.

Non c'è fonte patristica, latina o greca, che non condanni decisamente il fenomeno dell'usura. La prima condanna la troviamo in Clemente Alessandrino (Paedagogus, 1,10 e Stromata 2,19), ma subito dopo gli fanno eco Tertulliano (Adversus Marcionem, 4,17), Cipriano (Testimoniorum libri III ad Quirinum, 3,48), Commodiano (Instructiones 65), Lattanzio (Institutiones divinae, 6,18), Ilario (Tractatus in Ps XIV 15), Ambrogio (De Off. II,3, De Bono Mortis 12,56, De Nab. 4,15, Epistola 19 e De Tobia 42), Girolamo (In Ez. Commentarii 6,18), Agostino (Ennarationes in Ps. XXXVI, sermo 3,6; 38,86 e De baptismo contra Donatistas 4,9), Leone Magno (Ep. IV e sermo XVII). In particolare Girolamo sosteneva che il divieto dell'usura tra "fratelli (ebrei)" (Dt 23,20) era stato "universalizzato" dai profeti e dal Nuovo Testamento, e tuttavia non si diffonderà mai in occidente un'interpretazione universalistica della parola "fratello", poiché anche quando si comincerà a parlarne, nei secoli XII e XIII, lo si farà in maniera del tutto astratta e convenzionale, in riferimento ai cattolici-romani sparsi nel mondo, certamente non in riferimento ai cristiani ortodossi né tanto meno ai musulmani, nei confronti dei quali, proprio in quei secoli, sarà durissima la contrapposizione ideologica, politica e militare.

Per non parlare dei padri greci: Basilio (Homilia II in Ps XIV), Gregorio Nazianzeno (Or. 16,18), Gregorio Nisseno (Ep. ad Letoium, Contra usurarios, Homilia IV in Ecclesiastem), Giovanni Crisostomo (Homilia LVI in Mt, Homilia XVI in Gen, Hom. XIII in 1 Cor, Hom. X in 1 Tess.). E non si devono dimenticare il canone 20 del concilio di Elvira (300), Arles (314), Nicea (325) e Clichy (626).

Tra i padri latini bisogna spendere una parola per Ambrogio, il quale pur dipendendo da Basilio, se ne discosta su due punti fondamentali (nel suo De Tobia, a cura di M. Giacchero, Genova 1965): 1) accetta che l'usuraio faccia il prestito a condizione che il beneficiario possa disporre del denaro come vuole, possa cioè investirlo, restituendo la somma con gli interessi solo una volta ottenuta una rendita dal proprio investimento; 2) nei confronti dello straniero, nemico di guerra, egli permette che si esiga l'interesse sul debito quando lo straniero non può essere facilmente vinto in guerra o quando lo si potrebbe uccidere senza compiere un delitto, secondo il principio "dov'è il diritto di guerra, lì è anche il diritto di usura": col che egli poneva un'adesione pressoché letterale, e certamente poco cristiana, al dettato veterotestamentario. Ambrogio non intenderà mai la parola "fratello" in senso universalistico.

Periodo Basso Medievale


Nell'età carolingia Rabano Mauro (784-856) proibisce l'usura fra cristiani, siano essi laici o ecclesiastici, ma nei confronti degli infedeli o dei criminali ritiene giusto l'interesse "spirituale" (il pentimento, la fede, la conversione...), come "compenso" per le spese sostenute per la predicazione loro rivolta della parola di dio.

Coll'inizio delle crociate si comincia a sostenere in Italia che si può chiedere usura ai musulmani, anche se questo avrebbe potuto voler dire per i musulmani impiegare i capitali ricevuti contro gli interessi dei cristiani. D'altra parte durante le crociate l'usura ebbe grande diffusione, tanto che già alla fine del XII sec. gli usurai cristiani erano di molto superiori a quelli di origine ebraica. Tra il Mille e il XIII secolo il tasso annuale che gli ebrei in Francia non devono superare era del 33,5%. Analogamente a Firenze, Milano, Pistoia, Lucca il tasso medio annuo si aggirava sul 30% (in Inghilterra invece andava dal 12 al 33%).

Anche nell'area bizantina nell’XI secolo si passa ad una scala diversa e più elevata dei tassi usurari: per i senatori il 5,55%, per la gente comune il 8,33%, per gli uomini d’affari l’11,71%, per i prestiti marittimi il 16,66%. I medesimi tassi resteranno in vigore nel corso del XII secolo. Ma Catacolone Cecaumeno, duca di Antiochia caduto in disgrazia, militare e aristocratico, continua a tuonare contro il prestito a interesse. Il vecchio generale approvava soltanto il prestito finalizzato al riscatto dei prigionieri (che tra l’altro era l’unico motivo che giustificasse la vendita di beni ecclesiastici) e condannava tutte le altre forme di prestito: per ricavarne interessi; per ricavarne guadagni illeciti (quindi sono da evitare anche le associazioni d’affari); per guadagnare i favori di una donna; per favorire chi vuole appaltare un posto nell’amministrazione o chi vuole acquistare schiavi o terreni...

Per tutto il basso Medioevo schiere di teologi e canonisti favorevoli o contrari all'usura si dividevano sulla questione di sapere a chi essa fosse rivolta: infatti, quanti appoggiavano l'idea clericale di un'affermazione temporale della chiesa non avevano dubbi nel ritenerla lecita nei confronti degli stranieri, degli infedeli, dei nemici di guerra e della chiesa romana in generale; quanti invece affrontavano l'argomento in chiave puramente etica, erano in genere contrari a qualunque forma di usura, che veniva paragonata a una sorta di "furto" e a volte persino di "eresia".

Tra i seguaci del primo atteggiamento si annoverano: Graziano (1140), Pietro Comestore (m. 1179) e Guglielmo di Auxerre (m. 1230), che giustificavano in qualche modo l'usura praticata dai cristiani nei confronti degli stranieri o dei nemici, dicendo che anche il Vecchio Testamento aveva permesso la stessa cosa agli ebrei, al fine di evitare che la praticassero tra loro; Alessandro di Hales (m. 1249), per il quale non si può riconoscere il diritto di proprietà a chi può essere legittimamente ucciso, per cui l'usura non può essere considerata un furto; papa Alessandro III (1159); Bernardo da Pavia (m. 1213); Uguccione (1188); Giovanni Teutonico (1216); Enrico Bohic (1340).

Tra i seguaci del secondo atteggiamento troviamo Anselmo d'Aosta (1033 - 1109), Pietro Lombardo (1100-1160) che paragonano l'usura al furto; Pietro Cantore (m. 1197) che accusa principi e prelati cristiani di non avere scrupoli nel servirsi dei prestiti a interesse da parte degli usurai cristiani; Alberto Magno (1193-1280), Tommaso d'Aquino (1225-74), Raimondo da Peñafort (1234), Ostiense (1271) e Guglielmo Durand (1237-96), per i quali l'usura andava proibita anche agli ebrei.

Quanto ai concili ecclesiastici bisogna dire che mentre il Lateranense II (1139) è ancora fermo nel condannare teoricamente l'usura (l'usuraio cristiano non pentito è indegno dei sacramenti e del funerale religioso), il Lateranense III (1179), costatando che molti cristiani abbandonavano i loro mestieri per diventare usurai, condanna soltanto i veri e propri "professionisti" dell'usura, quelli che campavano facendo questo mestiere, non quindi gli usurai occasionali, mentre il Lateranense IV (1215) pone per la prima volta una netta distinzione tra "usura", sempre vietata, e "interesse", lecito entro tassi ragionevoli, impedendo però ai cristiani di commerciare con ebrei usurai. In questo concilio si riprendono termini più in uso nella giurisprudenza romana che in quella alto medievale.

Il II concilio di Lione (1274) e il concilio di Vienne (1311) ribadiscono la condanna dell'usura, anzi minacciano la scomunica a quei capi di Comuni o di Stati che la tollerano nei loro territori.

II - Il problema dell'usura ovvero quando l'usura diventa un problema

Situazione generale

Le condanne dell'usura cominciano a inasprirsi tra la metà del XII secolo e la metà del XIII. L'usura scoppia praticamente subito dopo il Mille, ma le premesse "ideologiche" non "materiali" per la sua affermazione erano già latenti nell'alto Medioevo, in concomitanza con la costituzione illegale del Sacro Romano Impero, in opposizione a quello del basileus di Costantinopoli, che determinò la corruzione del clero, lo smantellamento delle tradizioni bizantine, la revisione profonda di principi conciliari (il Filioque) e di prassi ecclesiali, sino alla rottura definitiva, con le reciproche scomuniche, del 1054, anticamera dello scatenamento delle crociate anche in funzione anti-ortodossa.

In questa situazione di lassismo etico e di revisionismo ideologico (cui si cercherà di porre rimedio con l'integralismo politico-religioso della riforma gregoriana), fu facile agli ebrei, soggetti già a molte discriminazioni, approfittare del fatto che la legislazione vigente non colpiva direttamente la loro categoria. Se fino ad allora l'usura non aveva attecchito in misura significativa, era stato semplicemente perché l'economia rurale basata sull'autosussistenza, in una neonata società cristiana, la rendeva assai poco praticabile. Certo, poteva accadere che durante un periodo di carestia, usuraio fosse anche chi non esitava a vendere i beni di prima necessità a prezzi esorbitanti, magari dopo aver tenuto la merce nascosta dolosamente, nell'attesa fiduciosa del rincaro dei prezzi.

Tuttavia anche dopo la riforma gregoriana la condanna dell'usura si porrà più che altro sul terreno delle enunciazioni teoriche (la proibizione di vendere il tempo o di far generare denaro dal denaro, sterile per definizione, ecc.), cui si riuscirà a dare un seguito pratico solo nei confronti degli ebrei, facilmente individuabili e legalmente poco tutelati. Gli ebrei venivano condannati anche perché erano visti dagli usurai cristiani come dei concorrenti. Non a caso già nel XIII secolo si afferma il principio che l'usura è semplicemente "un peccato contro il giusto prezzo", quello di mercato, ovvero che è un interesse esagerato, dettato dalla personale cupidigia.

All'usuraio, che specula sul denaro, si tende sempre più a opporre il mercante, che guadagna legittimamente coi commerci. Si accetta tranquillamente, nel XIII secolo, il fatto che il lavoro (quello ovviamente mercantile) sia a fondamento della ricchezza e si rifiuta l'usura in quanto guadagno senza lavoro.

L'antisemitismo apparso nei secoli XII-XIII è una conseguenza del fatto che alle contraddizioni del capitalismo commerciale non si sa opporre altra soluzione che quella di criminalizzare singole categorie di persone. Gli ebrei, pur essendo economicamente forti, erano politicamente molto deboli, per cui era molto facile far passare la loro situazione finanziaria come un privilegio ingiustificato. Tant'è che mentre gli usurai cristiani venivano processati in tolleranti tribunali ecclesiastici, quelli ebrei invece erano sottoposti ai più severi giudizi dei tribunali laici.

I sovrani infatti, che pur ricorrono abbondantemente a prestiti usurari, possono espropriare gli usurai come e quando vogliono, sicuri di non incorrere in sanzioni ecclesiastiche.

In generale tuttavia la condanna dell'usura, in tutto il basso Medioevo, è più teorica che pratica, anzi forse è tanto più teorica quanto meno è pratica.

Gli italiani in particolare erano dei grandissimi usurai, i toscani, i vicentini ma soprattutto i lombardi, che vivevano negli attuali Piemonte, Lombardia ed Emilia e che provenivano dai ceti dirigenti dei maggiori Comuni italiani. Costoro erano usi a frequentare i periodici incontri commerciali che dalla seconda metà del XII secolo si tenevano in quei centri della francese Champagne in cui confluiva la produzione francese e fiamminga. E lì cominciarono a praticare non solo il commercio delle mercanzie ma anche quello del denaro, finché ad un certo punto si specializzarono nella sola attività creditizia, che rendeva molto di più.

All'inizio la loro attività fu resa necessaria dal fatto che esistendo numerosissime monete, occorrevano esperti in grado di cambiarle, assegnando a ciascuna moneta il giusto valore. In seguito, nonostante i divieti canonici, essi si trasformarono in veri e propri usurai, dotati, a differenza degli ebrei, di ampi diritti civili e politici, in quanto cittadini di autonomi Comuni italiani.

Ed erano usurai legalizzati, in quanto detenevano il monopolio di un'attività permessa dalle autorità pubbliche. L'attività del banco si esplicava principalmente nel prestito su pegno, fissato a scadenza settimanale e di solito prorogato per un anno. I tassi variavano a seconda del cliente e del tipo di pegno e non erano certo bassi, se è vero che in Borgogna nel 1390-91 i lombardi furono costretti dal sovrano Filippo l'Ardito a restituire tutti i pegni, annullando i debiti dei loro clienti.

I re francesi (p.es. Luigi IX nel 1258 e 1268, ma anche Filippo il Bello nel 1291) spesso li cacciavano dal regno, requisendo tutti i loro beni, ma poi, dietro pagamento di una forte tassa, li riammettevano tranquillamente. E se le tasse erano insostenibili, i lombardi preferivano trasferirsi altrove, sicuri di poter continuare meglio i loro affari. A Treviri, nel 1262, furono addirittura accolti dall'arcivescovo!

Nella seconda metà del XIII secolo, dopo aver largamente frequentato territori come la Borgogna, l'Alsazia e la Lorena, la valle della Sarre, il Brabante, il Lussemburgo e altri ancora, si insediano stabilmente, sino all'età moderna, nelle Fiandre, uno dei principali centri industriali e commerciali del Nord Europa. Ma bisogna dire che per tutto il '300 non c'è regione europea che non abbia conosciuto la frenetica attività degli usurai e cambiatori italiani.

Le prime serie misure contro questi usurai furono prese con l'istituzione dei Monti di Pietà, agli inizi del '500. Ma nelle Fiandre (Paesi Bassi) tali Monti furono istituzionalizzati solo nel 1618, dopo che s'era tentato, invano, di far abbassare i tassi degli usurai lombardi dal 33% al 22%. Qui infatti i lombardi erano diventati consiglieri di conti, ricevitori generali delle finanze pubbliche, abili precettori d'imposte e zecchieri, per non parlare dei titoli nobiliari ch'erano riusciti ad acquistare e a trasmettere alla loro discendenza.

Non dimentichiamo che le Fiandre furono all'origine della trasformazione dell'Inghilterra da paese feudale a paese capitalistico.

[Per la stesura di questo paragrafo ci si è avvalsi di un contributo trovato nel seguente sito: www.villaggiomondiale.it. Trattasi di un estratto da una tesi di laurea della dr.ssa Daniela Capone, avente come tiolo "Profili dell’usura e della polemica antiebraica nel Rinascimento. Il mercante di Venezia di Shakespeare". Le parti utilizzate sono state poste tra parentesi quadre.]

Situazione degli ebrei

[A partire dal XII secolo, si assiste, in Europa occidentale, a uno straordinario diffondersi dell'usura tra gli ebrei: l’usuraio è di norma un ebreo, e la parola “ebreo” acquista il significato di “usuraio”. Gli ebrei prestano denaro ai governi per i loro eserciti e le loro funzioni, ai nobili per i loro lussi, ma anche alle classi più modeste, artigiani e contadini e perfino alle abbazie e ai conventi.]

[In tutta Europa, la loro condizione sociale è quella di “servi della corte del re” (“servi camerae regis”); secondo la legge inglese sono considerati parte integrante dei beni del sovrano; in Germania gli imperatori del Sacro Romano Impero rivendicano sui loro averi diritto di proprietà assoluta, con la facoltà di espellerli, venderli o darli in pegno; mentre in Francia, a norma degli Statuti di San Luigi re (1270), i giudei sono di proprietà dei nobili nel cui territorio risiedono.]

[Per legge, gli ebrei potevano soltanto esercitare taluni mestieri manuali, quali quelli dell’artigiano (fabbro, sarto, muratore, tessitore, vasaio, ecc.), alcune occupazioni del settore terziario (osti, librai, scrivani, ecc.), ma non potevano svolgere alcuna libera professione, salvo quelle di medico, prestatore di denaro, coniatore di monete e importatore di spezie.]

[Anche se il mestiere di usuraio non era scevro da gravi pericoli, sia per l’incerto status sociale dei giudei, sia perché i debitori spesso tendevano a sottrarsi ai loro impegni contrattuali fomentando l’antisemitismo e le persecuzioni razziali, gli ebrei avevano buoni motivi per farsi usurai.]

[Anzitutto, non essendo cristiani, non erano toccati dal divieto della Chiesa e non avevano nulla da perdere; in secondo luogo, soggetti com’erano a persecuzioni, sopraffazione e soprusi d’ogni genere, erano naturalmente portati a scegliere un mestiere i cui profitti fossero facili a nascondersi e a trasferirsi; in terzo luogo, la strettezza dei rapporti che intrattenevano con i loro correligionari non solo in Europa ma anche nelle contrade islamiche rendeva loro più agevole procurarsi e scambiarsi la valuta occorrente per grosse operazioni finanziarie. Gli ebrei, esercitando l’usura, soddisfacevano un bisogno reale della società, in un’Europa che stava passando da un’economia di mera sussistenza a un’economia che richiedeva un maggiore uso di denaro, bene che allora era assai scarso.]

[Esposti a infamanti accuse d’avvelenamento e d’omicidio rituale, sempre minacciati di repentina espulsione, privati perfino del diritto alla vita, gli ebrei erano indotti a vedere nel denaro la sola arma di difesa, anzi, una cosa dotata di valore sacro. Era col prestito di questa cosa preziosa, il denaro, che gli ebrei si guadagnavano da vivere, anche se non è da credere che tutti accumulassero ingenti fortune.]

[I tassi applicati ai prestiti erano spesso alti, ma soprattutto variavano in modo considerevole da luogo a luogo. Allora come ora, l’entità del saggio d’interesse era indicativa dello stato dell’economia di un paese: per esempio, il tasso praticato nella Repubblica di Venezia, che oscillava tra il 5 e l’8 per cento, era prova della floridezza della Serenissima, mentre un tasso assai elevato, come quello massimo in uso in Austria verso la metà del XIII secolo denunciava il sottosviluppo di quel paese.]

[Essere usuraio era a quel tempo una cosa estremamente scomoda: l’usuraio si trovava costantemente tra due fuochi: la Chiesa e lo Stato.]

[La Chiesa si sforzò di cristianizzare la società e lo fece con metodi consueti ai potenti: il bastone e la carota. Il bastone fu satana e il diavolo fu razionalizzato e istituzionalizzato dalla Chiesa e cominciò a funzionare bene intorno all’anno Mille.]

[La carota fu il purgatorio; in altre parole, l’usuraio non aveva che una scelta: se sceglieva il profitto usuraio, che gli consentiva di vivere e prosperare, cadeva nelle grinfie del diavolo e optava per l’inferno e la dannazione eterna; se invece, anche solo in punto di morte, si pentiva sinceramente e restituiva il maltolto, la sua anima andava in purgatorio. La via del purgatorio, però, era tutt’altro che agevole; infatti, sovente l’usuraio moriva di morte improvvisa, ovvero perdeva la parola quand’era vicino alla resa dei conti con Dio, e comunque non riusciva a confessare i suoi peccati.]

[Tutto ciò quanto al destino della sua anima; quanto al suo corpo, ci pensava il potere temporale a sistemarlo a dovere. “Usurai ebrei e stranieri dipendevano dalla giustizia laica, più dura e repressiva. Filippo Augusto, Luigi VIII e soprattutto San Luigi emanarono una legislazione assai dura nei confronti degli usurai ebrei, contribuendo così a fomentare l’antisemitismo già assai diffuso fra la popolazione”.]

[Come ben sappiamo, la Chiesa aveva da tempo tassativamente proibito ai cristiani, religiosi e laici, d’esercitare l’usura, dando inoltre facoltà ai preti d’esimere i debitori dal pagare interessi, come pure d’indurre gli usurai, spesso in punto di morte, a rendere ai debitori le somme percepite come interessi sui mutui, ovvero a farne donazione alla Chiesa stessa.]

[Questa, intanto, rimaneva ferma sulle sue posizioni dottrinali; anzi, a partire dall’XI secolo, calcò sempre più la mano sui divieti e sulle pene da comminare ai trasgressori. Il divieto del prestito a interesse si fece assoluto in concomitanza con lo sforzo di attuare il progetto ierocratico dei papi, progetto che tendeva alla “clericalizzazione della società dei fedeli”, e che inevitabilmente produsse l’irrigidimento delle norme antifeneratizie.]

[Quale sia nei primi secoli dopo il Mille l'origine dello stereotipo dell'"ebreo usuraio", quello stereotipo che si trasformerà poi in pregiudizio e sarà una delle giustificazioni dell'antisemitismo, è dunque il risultato di un contrasto, allora insanabile, tra la Chiesa e la comunità ebraica.]

[La Chiesa fra il Due e il Quattrocento fissò una netta distinzione fra usura e credito e identificò come usura solo il prestito a interesse su pegno gestito pubblicamente. Gli ebrei ebbero il ruolo di usurai non perché effettivamente monopolizzassero il mercato del denaro, ma per due ragioni principali:

le loro attività economiche, qualunque fossero, erano identificate dal mondo cattolico come "usuraie" perché praticate da "infideles", ritenuti incapaci in quanto tali di intendere il senso spirituale delle Scritture e, di conseguenza, ritenuti estranei, in quanto "carnales", ossia non convertiti e ostinati nel proprio errore; inoltre l'effettiva presenza di prestatori su pegno ebrei nelle città italiane alla fine del Medioevo, anche se promossa e sollecitata dalle città stesse, confermò l'immagine precedente e consentì all'attenzione pubblica di distogliersi dal contemporaneo, forte sviluppo della banca cristiana, che nella realtà andava monopolizzando i circuiti del denaro in tutta Europa.]

[Si giunse così, nel 1215, in occasione del quarto Concilio Lateranense, alla descrizione dell'usura come di un comportamento tipicamente ebraico e specificamente mirato ad indebolire economicamente la società cristiana e le chiese.]

[Il Concilio Lateranense II (1139) confermava la scomunica degli usurai; nel III Concilio Lateranense (1179) il prestito a interesse veniva di nuovo condannato con la massima severità, mentre col IV Concilio di Lione (1214) papa Gregorio X chiamava i cristiani a fare ogni sforzo per porre termine alla pratica dell’usura; l’anno dopo, Innocenzo III imponeva ai giudei l’obbligo di portare sul petto il distintivo della loro condizione di emarginati o di mettere in capo un berretto giallo (disposizione che però non fu sempre rigorosamente applicata a Roma e, in genere, in Italia).]

[Questi severi provvedimenti delle somme autorità religiose, ovviamente supportate dal “braccio secolare”, rendevano pericoloso l’esercizio dell’usura da parte dei cristiani; mentre come si è detto per gli ebrei, popolo reietto e abbandonato dal Dio cristiano, non avevano nulla da perdere, né sulla terra né in cielo, essendo già, salvo il caso di pronte conversioni alla vera fede, predestinati alla dannazione eterna.]

[Accadeva così che gli usurai ebrei, ancorché odiati e disprezzati, fossero preferiti agli usurai cristiani, i quali, correndo rischi anche più gravi dei giudei, praticavano spesso tassi d’interesse più esosi.]

[Col progredire dei traffici, il numero dei cristiani che osavano praticare l’usura era andato crescendo di continuo.]

[A peggiorare la situazione si aggiungeva questa complicazione: i re di Francia, di Spagna, d’Inghilterra e così via, non solo pretendevano denaro a prestito dagli ebrei per le loro guerre, le sante crociate, le opere pubbliche, ecc., ma imponevano loro pesanti taglieggiamenti sotto forma di tasse sui proventi dell’usura.]

[C’erano, a disposizione dei monarchi, altri e più duri metodi, peraltro, di taglieggiare gli ebrei e rimpinguare i forzieri reali: si poteva emanare un editto per la cancellazione di tutti i debiti, o si potevano arrestare gli ebrei in massa, costringendoli a pagare un forte riscatto; si potevano applicare loro multe esorbitanti, o imporre “donazioni” per circostanze straordinarie (matrimoni regali, nascite di principi e così via); e infine- soluzione finale - si potevano espellere dal regno tutti gli ebrei, facendo loro pagare assai cara l’eventuale riammissione.]

[Uno dei primi a far ricorso a questo odioso mezzo fu Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1182 cacciò dal paese tutti gli ebrei e ne confiscò i beni; di lì a pochi anni li riammise imponendo loro una pesante donazione.]

[Molti ebrei espulsi trovarono rifugio in Inghilterra, ma per essere espulsi un secolo dopo anche in questo paese.]

[In Europa, gravi avvenimenti fecero seguito alla cacciata degli ebrei dall’Inghilterra: l’espulsione delle importanti comunità ebraiche della Francia e in Germania. Molti dei giudei cacciati trovarono rifugio in Turchia, in Polonia e anche in Italia.]

[Nel XIII secolo, un fatto nuovo era sopravvenuto a complicare le cose: i primi banchieri italiani avevano cominciato a prendere il posto degli ebrei nella vita economica dei paesi. A volte il re, trovandosi indebitato con prestatori di denaro stranieri (non ebrei), e specialmente con italiani, concedeva ai suoi creditori la facoltà di rivalersi sugli ebrei, riscotendo in sua vece le imposte da loro dovute.]

[Infatti questo fenomeno aggravava la situazione economica e peggiorava la posizione sociale degli ebrei nell’Europa del nord: lo sviluppo e il rafforzamento delle iniziative finanziare dei lombardi cominciavano a spezzare quello che era stato un vero e proprio monopolio degli ebrei, l’usura, riducendo molti di costoro alla più umile professione di prestatori su pegno.]

[Lo stereotipo dell’ebreo usuraio e il marchio di usura attribuito all’intero popolo ebraico a partire dai primi secoli dopo il Mille e a causa della loro esclusione da quasi tutte le attività economiche ad eccezione di quella del prestito ad interesse, hanno determinato e sviluppato le radici dell’antisemitismo moderno.]

Commento alla tesi di Daniela Capone

Come si può notare la tesi sostenuta da Daniela Capone è in sostanza la seguente: la chiesa romana cominciò ad un certo punto ad emanare tante più sentenze antiusuraie quanto più diventava politicamente teocratica, nel senso che dette sentenze riflettevano l'inevitabile antisemitismo conseguente a quella ideologia integralistica. La chiesa romana non si opponeva all'usura per motivi etici, ma perché, ambendo a un potere assolutistico, doveva necessariamente opporsi a tutte quelle realtà che la contestavano, che sfuggivano al suo controllo, che minavano la sua credibilità o che potevano servire per coagulare consensi: tra queste realtà sociali vi erano gli ebrei, per i quali fu facile trovare l'accusa d'essere usurai.

L'antisemitismo era dunque funzionale a esigenze politiche e la lotta contro l'usura rientrava in un piano strategico più generale di affermazione imperiale del papato.

Dove sta il limite di fondo di questa tesi, che pur presenta aspetti condivisibili? Il limite sta nel fatto che la chiesa cominciò a perseguitare gli ebrei nel momento stesso in cui cominciò a favorire i mercanti. Il suo progetto di affermazione teocratica andò di pari passo con l'affermazione del mercantilismo, e di quest'ultimo gli ebrei costituirono soltanto una componente limitata, che in nessun modo avrebbe potuto mettere in discussione l'evolversi dei processi ecclesiastici iniziati con la riforma gregoriana, né favorire in maniera decisiva l'evolversi dei processi mercantili iniziati con lo sviluppo del sistema comunale.

L'usura praticata dagli ebrei non favoriva infatti, direttamente, il mercantilismo, ma semmai minava le basi del feudalesimo. Il mercantilismo aveva bisogno di ben altre condizioni, strutturali e sovrastrutturali, per potersi diffondere. E in ogni caso l'usura era tanto più praticata dagli ebrei quanto più praticato dai cristiani era il mercantilismo. E l'antisemitismo, sempre e ovunque, diventa tanto più marcato quanto meno si riesce a porre un freno allo sviluppo delle contraddizioni antagonistiche del mercantilismo.

La chiesa romana non fu dunque contraria all'usura semplicemente perché contraria agli ebrei; anzi, l'antisemitismo fu indirettamente un favore che la chiesa romana fece al mercantilismo, il quale conosceva forme di usura praticate abbondantemente anche dai cristiani. Tale mercantilismo, per potersi sviluppare "legalmente", aveva bisogno di una realtà da presentare come forma antitetica da superare, come negatività da reprimere, e quella ebraica veniva facilmente incontro a tale esigenza.

Se vogliamo, la chiesa romana favorì addirittura l'usura cristiana, riveduta e corretta coi concetti di "interesse", "rischio", "prestito su pegno", "purgatorio" ecc., proprio opponendosi formalmente all'usura ebraica e venendo incontro alle nuove esigenze della classe borghese, e si opporrà nettamente al mercantilismo solo quando questo rivendicherà un potere politico, cioè sostanzialmente solo verso la prima metà del '500, quando il mercantilismo troverà nel protestantesimo il suo decisivo e definitivo puntello ideologico.

III - La giustificazione dell'usura

La giustificazione dell'usura avviene in maniera progressiva nell'ambito della chiesa romana. I fattori ideologici che l'hanno favorita sono stati i seguenti:

l'introduzione dell'aristotelismo nella teologia scolastica, che pone (specie dopo il 1260) le basi di un affronto più "economico" che "etico" o più di "etica economica" che non di "teologia" del problema dell'usura e che in definitiva porterà alla distinzione di "usura" e "interesse".

P.es. la proibizione scolastica dell'usura non si basa tanto su ragioni etiche di "charitas evangelica" (quella secondo cui bisogna prestare senza sperare nulla in cambio, stando a Lc 6,34 s.), quanto su ragioni giuridiche di "aequitas", in quanto si riteneva fondato il principio aristotelico relativo alla sterilità del denaro, considerato come mera misura del valore dei beni e non come merce di scambio universale; sicché non si poteva pretendere un interesse su una cosa che in sé non valeva nulla.

Ma quando i teologici e i canonisti s'appellano alla "equità" s'era già perso il primato del valore d'uso su quello di scambio e, proprio in virtù dell'aristotelismo, essi arriveranno ben presto a premiare il rischio, cioè l'incertezza connessa a un prestito finanziario (mutuum), e quindi a ritenere legittima la "vendita del tempo", che per tutto l'alto Medioevo fu cosa assolutamente inammissibile.

Il concetto di peccato come "intenzione soggettiva". Tra la fine dell'XI sec. e l'inizio del XIII la concezione del peccato e della penitenza si interiorizza, nel senso che si perde l'oggettività del peccato, che prima, nei casi più gravi, andava pubblicamente ammesso, affinché si assicurasse la riconciliazione comunitaria, e si finisce per farlo diventare un qualcosa di soggettivo, discrezionale, privato, basato sul rapporto segreto tra confessore e penitente o anche solo tra penitente e dio (come avverrà poi definitivamente nella riforma luterana). La gravità del peccato viene misurata solo sulla base dell'intenzione del peccatore, sicché si dà ampio spazio alla diversità delle interpretazioni.

Questa morale dell'intenzione viene sostenuta da tutte le principali scuole teologiche del XII sec.

Tale forma di relativismo etico andava di pari passo con la progressiva affermazione della prassi e della mentalità borghese, la quale, a sua volta, si poneva come reazione alla mutata mentalità ecclesiastica, che sul piano politico stava diventando sempre più autoritaria.

Il concetto di peccato come "intenzione soggettiva" s'impone anche in quegli ordini mendicanti che, nel corso della lotta contro le eresie medievali, vengono istituzionalizzati dalla chiesa romana (francescani e domenicani in primo luogo).

Infatti, pur rivolgendo contro i mercanti e soprattutto gli usurai i loro strali ideologici, questi ordini finirono col legittimare la prassi mercantile, circoscrivendone gli abusi a una questione meramente personale, relativa ad atteggiamenti di smodata cupidigia.

Non a caso questi stessi ordini religiosi furono tra i più ferventi sostenitori delle crociate, cioè di quel fenomeno in cui confluirono al massimo grado le contraddizioni antagonistiche causate dalla crisi del sistema feudale carolingio e dallo sviluppo del mercantilismo; contraddizioni per le quali si cercò una soluzione "esterna" all'Europa occidentale, in una forma di tipo colonialistico.

La differenza tra "usura" e "interesse". L'interesse diventa un profitto moderato ma necessario: la differenza tra "usura" e "interesse" non è per il genere ma per l'intensità. Il prezzo di mercato diventa la base di riferimento per il "giusto prezzo" del prestito. Teologi e canonisti dapprima sostengono che l'indennità è giusta quando vi è ritardo nel rimborso, successivamente ch'essa è giusta anche quando il prestatore ha dovuto rinunciare ad altri investimenti che avrebbero potuto rendergli di più (lucrum cessans).

Prestare soldi può anche significare rischiare di perderli: l'interesse diventa una forma legittima di tutela, perfino una forma di salario legittimo, se il prestatore non ha altri introiti che questo. E generalmente si dà per scontato che il "giusto prezzo" sia tanto più basso quanto più un paese è economicamente sviluppato.

Ovviamente la teoria scolastica dell'interesse non era stata elaborata per giustificare l'attività professionale dell'usuraio, che risultava sempre moralmente riprovevole, quanto per legittimare l'attività di quel mercante che voleva praticare intenzionalmente il prestito senza per questo voler passare per un usuraio e, nel contempo, continuando ad effigiarsi del titolo di cittadino "cristiano" a tutti gli effetti.

Lo stesso cambiatore di monete fu sempre ritenuto colpevole di "usura mentale", in quanto si rifiutava l'idea di attribuire al denaro l'attributo di "merce universale".

La definizione del "giusto prezzo". Nei secoli XII e XIII i giuristi medievali (glossatori) riscoprono il valore del diritto romano mediato dalla compilazione voluta da Giustiniano a Costantinopoli nel VI secolo.

Sono questi "romanisti" che fanno fare alla teoria del "giusto prezzo" significativi passi in avanti in direzione dell'ideologia borghese.

Per determinare il "giusto prezzo" essi ripresero il termine della "libera contrattazione", la quale trovava un limite solo nella "laesio enormis", cioè nel fatto che "un venditore aveva il diritto di esigere la riparazione per un contratto di vendita se il prezzo risultava inferiore alla metà del giusto prezzo e il compratore poteva scegliere o di annullare la vendita restituendo la merce e ricevendo in cambio il prezzo originale, o di pagare il giusto prezzo" (cfr Etica economica medievale, a c. di O. Capitani, p. 72).

La laesio enormis nel Codex giustinianeo si applicava solo al venditore, semplicemente perché si dava per scontato, in un'economia prevalentemente rurale, che il compratore fosse economicamente se non addirittura politicamente più forte, mentre il venditore altri non era che un piccolo proprietario.

Ebbene i suddetti romanisti iniziarono ad un certo punto ad applicare la laesio enormis anche agli acquirenti, mettendo teoricamente le parti in causa sullo stesso piano.

Ora se il prezzo è troppo alto, è lo stesso acquirente che si può appellare alla laesio enormis, trascinando il venditore davanti al giudice, in una costosa e interminabile causa civile (fino a 30 anni!), alla fine della quale sicuramente otterrà la meglio. Tant'è che nei contratti di vendita (ch'era prevalentemente di beni immobili) l'acquirente cominciò a pretendere per iscritto, al fine di tutelarsi definitivamente, che il venditore aggiungesse almeno una delle tre seguenti clausole: che rinunciava espressamente a rivendicare in futuro qualunque forma di riparazione; che donava all'acquirente l'eventuale differenza di prezzo tra quello contrattato e quello giusto; che giurava di non contestare mai più la vendita.

Per determinare il giusto prezzo il giudice o notaio si serviva ovviamente di propri consulenti.

Depositi bancari e operazioni di cambio. Per quale motivo nei confronti delle operazioni bancarie (depositi, cambi ecc.) teologi e canonisti mantennero quasi sempre un atteggiamento di benevola condiscendenza? Semplicemente perché chiunque poteva ricavare una rendita dai propri depositi, anche se il mercante-banchiere otteneva profitti molto più alti dai depositi dei propri clienti, se non addirittura tassi usurari dal credito che offriva ad uomini di stato o illustri personaggi. Le banche di Firenze erano le più ricche e famose e rimasero il centro finanziario d'Europa sino alla fine del XIV secolo.

La rendita è sempre stata un'operazione commerciale che la chiesa romana non ha mai condannato: che la si ottenesse dal lavoro del servo della gleba o da un deposito bancario cambiava poco.

I canonisti sapevano bene che un depositante che traeva un interesse fisso da un deposito, indirettamente praticava usura, ma se l'opinione pubblica accettava l'idea di una banca (che per di più veniva incontro alle esigenze degli orfani minori sotto tutela e delle vedove), era poi impossibile accusare d'usura i suoi clienti, il primo dei quali peraltro era lo stesso papato, che si serviva delle banche anche per raccogliere fondi a sostegno delle crociate. E forse l'Ordine dei Templari non era un'organizzazione bancaria internazionale?

Le stesse speculazioni mercantili sulle differenze di cambio monetario non sono mai state condannate in maniera risoluta dalla maggioranza dei teologi, semplicemente perché avvenivano al di fuori della visione della gente comune, che non poteva essere a conoscenza dei traffici internazionali dei potentati economici e politici, il primo dei quali, anche qui, era lo stesso papato.

Non a caso pochissimi teologici riuscirono a scorgere forme di usura là dove in luogo della moneta sonante si usavano lettere di credito o cambiali per operazioni finanziare sovranazionali. E in genere i canonisti non misero quasi mai in discussione il fatto che si potessero costituire delle società che investissero i loro depositi in attività lucrative comportanti un rischio potenziale.

In sostanza l'usura che si condannava era solo quella manifesta, cioè quella praticata da chi pubblicamente si metteva nella condizione di prestare denaro a interesse e che faceva del prestito la propria attività principale.

Le banche, ufficialmente, non svolgevano come prima operazione quella di prestare denaro a interesse, ma quella semmai di dare un interesse sui depositi dei clienti. Questa distinzione sofistica era sufficiente per sottrarle all'accusa di praticare l'usura.

L'istituzione dei Monti di Pietà. L'usura praticata nei confronti del popolo minuto viene ostacolata attraverso i cosiddetti "Monti di Pietà", nati alla fine del '400 su iniziativa dei francescani, guidati da Bernardino da Feltre (1439-94).

I montes pietatis, gestiti dallo stesso clero e da mercanti di buona reputazione, furono introdotti quando ci si accorse che il problema della povertà aveva ormai assunto dimensioni abnormi, e si cercò di giustificarli addossando agli ebrei usurai la causa principale di questa povertà.

Essi prevedevano all'inizio un tasso del 6%, contro quello usurario del 30-40%, e venivano finanziati da donazioni caritatevoli, che ovviamente non erano sufficienti per ripagare le spese, per cui dopo un certo tempo si decise di concedere credito (dall'8% al 12%) a uomini d'affari, trasformando così i montes in una sorta di piccole banche locali.

All'inizio si opposero alla loro istituzione teologi tradizionalisti in ambito agostiniano e domenicano, contrari al fatto che si chiedesse un interesse alla povera gente; poi le loro proteste vennero definitivamente messe a tacere dal concilio Lateranense V (1515) sotto il papa Leone X, ma già papa Paolo III li aveva approvati nel 1467. Intorno al 1509 in Italia ve n'erano 87.

Tutti i difensori dei Monti di Pietà (Alessandro Nevo, Celso da Verona, Annio di Viterbo ecc.) ritenevano che l'interesse richiesto, in rapporto all'importo concesso e alla sua durata, andasse considerato come una sorta di rimborso spese per il servizio prestato. Si giustificò l'interesse dicendo inoltre che i proprietari del Monte erano gli stessi fruitori!

Con l'istituzione di queste agenzie municipali di prestiti su pegno tende ad affermarsi l'idea che agli ebrei andava recisamente vietata qualunque forma di prestito a interesse. Ci si illudeva di poter ovviare alle contraddizioni del mercantilismo usando le armi dell'antisemitismo.

In sostanza quanto più i teologi si opponevano all'usura condotta in forma privata, tanto più la ufficializzavano in forma pubblica, giustificando in maniera sempre più decisa l'ideologia mercantile.

La stessa istituzione specifica del Monte per il mutuo alla povera gente, in cambio di un pegno come garanzia e di un certo interesse per il servizio, era un altro segno del fallimento dei principi comunitari cristiani.

Il concetto di "purgatorio", che eredita la distinzione tra "usura vietata" e "interesse legittimo" e che permette all'usuraio, interiormente pentito, di salvare la propria anima nell'aldilà.

Ne parla estesamente Le Goff, il quale sostiene che il concetto di "purgatorio" (di origine pagana, cfr Eneide 6, 1100-1105) venne elaborato nel XII secolo (sulla base della distinzione scolastica tra peccati "veniali e "mortali") proprio per attenuare la plurisecolare condanna ecclesiastica della pratica dell'usura. Parenti e conoscenti dell'usuraio potevano con le loro preghiere, offerte, intercessioni, suffragi, abbreviare il periodo di sofferenza del condannato, aprendogli le porte del paradiso.

Questo ovviamente a condizione che l'usuraio, almeno sul punto di morte, si pentisse e avesse intenzione di restituire il maltolto o quanto meno le eccedenze, visto ch'egli non poteva lasciare sul lastrico moglie e figli, i quali dovevano evitare di proseguire l'attività del congiunto.

Il purgatorio poteva evitare all'usuraio una condanna definitiva nell'aldilà, mentre nella vita terrena la distinzione tra "usura" e "interesse" poteva permettere a chiunque, quindi anche all'usuraio, di poter praticare legittimamente il prestito a interesse, a condizione che questo non fosse esoso.

Il concetto di "purgatorio" era l'ammissione di un'impotenza. Anche i concetti di "inferno" e "paradiso" lo erano, ma finché essi prevalsero, tendeva a dominare nella società cristiana una dura condanna morale di talune azioni antisociali.

Col concetto di "purgatorio" sparisce anche la condanna morale, in quanto tutto diventa opinabile, relativo ad atteggiamenti più che altro interiori, soggettivi, interpretabili solo da dio. Si era, con ciò, a un passo dalla riforma luterana.

IV - Capitale commerciale, usurario e industriale

"Gli iniziatori del capitalismo sono gli usurai", dice Le Goff. E lo dice facendo così apparire la chiesa romana come una sorta di Pilato che ha dovuto adeguarsi, obtorto collo, a un fenomeno che non sentiva come proprio ma che ad un certo punto non era più in grado di controllare.

La tesi di Ovidio Capitani non è molto diversa. Egli infatti sostiene che l'etica economica medievale è "risonanza e indicazione di un comportamento" e non "causa" o "concausa" dello stesso. L'etica economica medievale non poteva promuovere il capitalismo ma soltanto ammettere la liceità di talune pratiche commerciali. Fu un'etica "concessiva" non "costruttiva". Ed egli, al pari di Le Goff, vede nell'incapacità degli scolastici e dei canonisti di portare alle conseguenze più moderne le loro teorie proto-borghesi un limite di fondo, che poi verrà superato - aggiungiamo noi - dai teologi esplicitamente protestanti.

In realtà queste tesi sono deficitarie su alcune questioni controverse:
anzitutto è molto difficile sostenere che la chiesa romana fu indotta ad accettare il mercantilismo e l'usura come una male inevitabile, esterno alla propria zona d'influenza o estraneo alla propria ideologia di vita. In realtà essa in qualche modo vi contribuì, se non direttamente, almeno indirettamente, col proprio atteggiamento politico di potenza terrena, ostile alle istituzioni laiche, contraddittorio alle premesse cristiane della propria missione (si pensi solo al fatto che gran parte delle maggiori cariche ecclesiastiche sono sempre state oggetto di "simonia" e che il commercio dei beni religiosi è sempre stato all'ordine del giorno di tutte le più importanti riforme ecclesiastiche medievali).

Capitani dice che il problema della reperibilità di denaro liquido si fece sentire con urgenza tra la fine del sec. XI e i primi decenni del XII, in concomitanza con le crociate.

Quindi bisognerebbe dire che in questo periodo esistevano già dei ceti economicamente in crisi, rovinati dallo sviluppo di una certa economia mercantile.

Lo sviluppo di questo tipo di economia dovette andare di pari passo con la crisi dell'economia rurale, che aveva trovato nel feudalesimo carolingio un sistema oppressivo, gerarchico-autoritario, colonialista, molto fiscale, legato alla chiesa romana da un rapporto clientelare, strettamente ideologico-politico.

Il mercantilismo basso medievale è una reazione individualistica alla crisi del collettivismo forzato del feudalesimo franco-cattolico. Ed esso ha trovato la sua legittimazione teorica nei teologici e canonisti della Scolastica.

In secondo luogo è del tutto sbagliato sostenere che l'usura contribuì a far nascere il capitalismo.

L'usura ha semplicemente contribuito alla distruzione del feudalesimo. L'usura tende a distruggere i sistemi economici vigenti, dominanti, non si pone un compito costruttivo, di alternativa sociale positiva. Infatti, anche quando (come oggi) noi vediamo che gli usurai investono i loro capitali (una parte di essi) in attività produttive, riciclando il denaro sporco, infinitamente di più o socialmente più importanti sono le attività produttive ch'essi hanno contribuito a smantellare. Ma su questo rimando ampiamente al commento del cap. 36 del III libro del Capitale di Marx.

Più in generale bisogna dire che le idee borghesi non si sono formate al di fuori del feudalesimo ma al suo interno, sicché la chiesa romana non può averle costatate passivamente, cercando di adeguarvisi con rassegnazione, pur nel tentativo di salvare il salvabile.

La pratica e le idee borghesi sono troppo antitetiche a quelle della società rurale alto medievale perché si possa pensare che la stessa chiesa romana non abbia contribuito a promuoverle.

P.es. s. Bernardino da Siena (1380-1444) infrange per la prima volta il divieto di "vendere il tempo" quando permette al debitore che deve restituire una certa somma di denaro entro un certo tempo, di poter restituire una somma minore se riesce a farlo in un tempo minore. Lui stesso difendeva il prestito a usura ai nemici della chiesa in quanto fatto "per amore della fede", mentre Pietro Gregorio (1540-97) sosteneva esattamente il contrario, e cioè ch'era insensato che il cristiano concedesse un prestito a un nemico che avrebbe potuto utilizzarlo contro i suoi interessi.

Sin dai tempi carolingi la chiesa romana s'è andata configurando come società temporale, ampiamente dotata di poteri economici e politici, in competizione con quelli dei nobili laici, con quelli del basileus bizantino e ad un certo punto anche con quelli degli stessi sovrani cattolici da essa stessa consacrati (in opposizione al basileus).

Certo, non è lecito aspettarsi da tale atteggiamento un impulso diretto, consapevole, a favore dello sviluppo del mercantilismo e del capitalismo, ma indubbiamente esso ne favorì la formazione iniziale, cioè esso fornì alla società mercantile i presupposti ideologici per futuri sviluppi, anche contro gli stessi interessi feudali della chiesa, strettamente legati al possesso della terra e alle rendite che da essa terra si volevano ricavare.

Non dimentichiamo che sino alla fine del XII secolo furono i monasteri a offrire il credito necessario, chiedendo in cambio un immobile da cui poter trarre delle rendite. Poi sarà la chiesa stessa a impedire questa forma di credito, che aveva già trasformato abbazie e conventi in organi così potenti da sfuggire al controllo dei vescovi, salvo poi permettere agli ordini che dipendevano direttamente dal papato, come p.es. i Templari o i Teutonici, di svolgere qualunque tipo di operazione finanziaria e commerciale nelle terre conquistate.

Col proprio atteggiamento politico mondano la chiesa romana favorì, indirettamente, la nascita della moderna figura del mercante, la cui ideologia dualista (borghese nella pratica e cristiana nella teoria) si poneva come forma di reazione opportunistica all'integralismo politico-religioso del papato. Da una serie progressiva di concessioni (formali), che la chiesa stessa aveva in qualche modo contribuito a rendere inevitabili, ad un certo punto era nata una nuova qualità di vita economica, nei cui confronti la stessa chiesa romana necessitava di rivoluzionarsi in direzione del protestantesimo.

Considerazioni finali

I

Nel Medioevo una forte presenza dell'usura era già indice di una prevalenza dei rapporti mercantili-monetari su quelli naturali dell'autoconsumo. L'usura si sviluppa sempre là dove i commerci sono fiorenti, ma anche là dove i rapporti di classe sono molto antagonistici, dove l'individualismo dei proprietari (fondiari o di capitali) è molto accentuato.

L'usuraio infatti è un individuo che si pone contro dei legami comunitari indeboliti, insinuandosi nelle debolezze di un sistema sociale dominante e portandole a completa rovina. E' come un virus in un corpo che si trascura, di un malato che s'illude di poter guarire senza medicine, che sottovaluta la gravità della propria patologia.

Non ha senso sostenere - come fa Le Goff - che gli usurai non diventavano capitalisti solo perché avevano paura dell'inferno nell'aldilà e che cominciarono a diventarlo quando si prospettò loro la possibilità di finire in paradiso passando attraverso il compromesso del purgatorio.

Il capitalismo nasce quando da un lato il borghese poteva chiaramente differenziare la propria attività da quella usuraria, facendola in un certo senso passare per un'alternativa legittima, convincente, adeguata, e dall'altro quando la pratica dell'usura, legalizzata nelle forme del moderno credito, si trasformava in un forma incentivante a sviluppare rapporti di sfruttamento di lavoro, in cui le parti contraenti erano giuridicamente e formalmente libere. Cosa che il cattolicesimo-romano, essendo una religione feudale, impostata sul rapporto personale di soggezione e quindi sulla rendita, non avrebbe potuto accettare sino in fondo, senza prima trasformarsi in una religione protestante, adatta a un credente di tipo borghese e imprenditoriale.

La teoria del "giusto prezzo" in tal senso è molto eloquente per spiegare i limiti di un'impostazione cattolico-romana in materia di economia politica. Detta teoria (anche nel teologo più "oggettivo" come Tommaso d'Aquino) ha sempre avuto per tutto il Medioevo uno sfondo prettamente moralistico, in quanto ci si affidava alla buona volontà dei contraenti (venditore ed acquirente), i quali avrebbero dovuto evitare iniziative commerciali intenzionalmente fraudolenti o tali da favorire forme di monopolio.

Dal canto suo la chiesa cercava di stemperare l'avidità del guadagno chiedendo al mercante di devolvere parte delle ricchezze ad opere di carità.

Un trend del genere avrebbe potuto funzionare al massimo nell'ambito di un mercato locale, dove tutti si conoscevano, ma proprio nel momento in cui tale teoria veniva formulata lo scatenamento delle crociate nel Vicino Oriente e nei Paesi Baltici faceva sì che i mercati diventassero internazionali e con essi le loro dinamiche e soprattutto i loro prezzi, che finivano inevitabilmente per influenzare quelli dei mercati locali.

La chiesa romana era convinta di poter controllare il fenomeno del mercantilismo in piena espansione perché sul piano politico imponeva a tutta la società una concezione piuttosto rigida della stratificazione sociale dei ceti e dei loro ruoli, e non aveva motivo di pensare, finché ognuno fosse rimasto nel posto che gli veniva conferito dalla gerarchia, che l'attività mercantile avrebbe col tempo scardinato sia la tradizionale ideologia cristiana che i consolidati poteri costituiti.

II

Sul piano metodologico - come indicazione per ulteriori ricerche storiografiche - occorrerebbe focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti per noi di fondamentale importanza:
la storia del Medioevo non andrebbe vista come una linea evolutiva che va dall'economia naturale primitiva a quella urbana e mercantile, considerando quest'ultima come una forma più avanzata dell'altra. Il fatto cioè che lo fosse (secondo i parametri industriali odierni) sul piano tecnologico, produttivo o commerciale non dice nulla sull'effettiva democraticità di un determinato stile di vita, che va invece valutato per il suo grado di umanizzazione e di conformità alle esigenze della natura.
In tal senso si potrebbe anzi ipotizzare un percorso interpretativo inverso, in cui lo sviluppo dell'urbanesimo e del mercantilismo euroccidentali debbono essere visti come una sorta di processo involutivo verso forme sociali sempre meno democratiche.

Bisognerebbe in tal senso rileggersi tutte le opere dei teologi cattolici per cercare di individuare i momenti di passaggio dalla concezione greco-ortodossa della vita religiosa a quella cattolico-romana e, all'interno di quest'ultima, dalla concezione rurale della vita sociale a quella urbana e borghese.

Le ricerche storiche andrebbero indirizzate verso una rivalutazione delle società rurali alto medievali di quei regni barbarici diversi dai Franchi e dai Sassoni, in entrambi i versanti europei, est e ovest. In particolare bisognerebbe cercare di capire il motivo per cui là dove era presente la chiesa ortodossa non si sono formate concezioni di vita borghese, ovvero il motivo per cui là dove il cristianesimo ortodosso s'è trovato a dover fronteggiare forme di vita mercantile (come p.es. nell'impero bizantino), la resistenza nei confronti dell'ondata musulmana è stata molto più debole.

Bisognerebbe inoltre individuare i motivi per cui, nell'ambito del cattolicesimo-romano medievale, si sono formate idee borghesi in Italia e non anche in Polonia o in Spagna o in Ungheria. Naturalmente questo può essere spiegato alla luce del fatto che l'Italia, sino alla fine dell'impero romano, aveva conosciuto fiorenti commerci, ma questa motivazione non può essere sufficiente, poiché le invasioni barbariche sconvolsero completamente l'assetto socioeconomico anche della nostra penisola, ponendo l'economia naturale come del tutto prioritaria rispetto a quella mercantile.

Una spiegazione più convincente non può non tener conto del fatto che l'Italia era sede del papato, il quale in tutti i modi cercò di imporsi come realtà politica. La formazione della mentalità borghese (dualista per definizione, in quanto a una religione ufficiale, accettata formalmente in sede teorica, oppone una prassi arbitraria, dettata da interessi individualistici) si pone probabilmente come reazione a una prassi cattolica che ai livelli istituzionali della gerarchia era non meno dualista, in quanto i principi teorici venivano sistematicamente contraddetti dalla ricerca di un potere politico ed economico.

Un'osservazione a parte va fatta sull'ermeneutica di Le Goff. Egli ritiene che nell'alto Medioevo la religione fosse vissuta solo molto superficialmente e più che altro dai soli chierici, essendo i laici, legati alla terra, rozzi e incivili. Il giudizio sui laici è molto duro: violenti, ignoranti, guerrieri... Nei loro confronti era inevitabile un forte dominio da parte delle istituzioni, laiche ed ecclesiastiche, le quali avevano bisogno più che altro di far regnare un ordine esteriore.

Successivamente intorno al Mille aumentano le ingiustizie e le ineguaglianze, ma anche il benessere per le popolazioni urbane. La chiesa romana cercò di spiritualizzarsi e di far diventare più cristiana la società.

Ora, che dire di questa interpretazione storica da parte di uno dei massimi medievisti viventi?
Anzitutto che uno storico del Medioevo dovrebbe sempre fare distinzione tra il cristianesimo vissuto dalle masse popolari, prevalentemente contadine e analfabete, e il cristianesimo vissuto dalla gerarchia ecclesiastica, l'unica in grado di elaborare delle fonti scritte.

Fonti del genere non possono essere considerate come "obiettive", non solo perché molte di esse furono dei falsi patentati, ma anche e soprattutto perché esse riflettevano chiaramente interessi di parte.

Il fatto stesso che dopo il Mille si cominciasse a considerare la "povertà" come un "valore", da parte dei movimenti ereticali, dovrebbe p.es. far pensare non solo che dopo il Mille essa veniva generalmente considerata dalla mentalità borghese come un "disvalore" (e su questo anche Le Goff conviene), ma anche che presso le comunità rurali alto medievali non c'erano situazioni di estrema povertà come quelle causate dal mercantilismo, che praticamente obbligava i contadini senza terra a emigrare nelle città per diventare operai salariati.

Questo per dire che i testi teologici basso medievali riflettevano una situazione socioeconomica molto più contraddittoria di quella alto medievale, in quanto ai problemi del servaggio si erano aggiunti quelli del mercantilismo.

La condanna teorica dell'usura (ribadita in tutti i concili Laterani) non sta di per sé a significare che la società fosse più cristiana e neppure che a quella condanna seguirono azioni effettivamente coerenti ed efficaci.

I fatti hanno piuttosto dimostrato il contrario, e cioè che l'adeguamento del cristianesimo istituzionale della chiesa romana alla prassi borghese avvenne nel basso Medioevo parallelamente alla condanna dell'usura.

La chiesa romana dopo il Mille continuava ad essere politicamente aristocratica e ideologicamente integralista, ma stava sempre più diventando socialmente borghese. Essa voleva tenere sottomessa la borghesia, impedendole di acquisire potere politico, ma nello stesso tempo la favoriva, proprio per aumentare le proprie ricchezze, il proprio prestigio di potenza terrena.

Per trovare una qualche forma di opposizione a questo evolversi della concezione cristiano-borghese della fede occorre rivolgersi a taluni movimenti pauperistici ereticali.

Abbastanza curioso è il fatto che mentre i grandi usurai italiani venivano dalla Lombardia, dal Piemonte, dall'Emilia, e i grandi banchieri venivano da Firenze e dalla Toscana in generale, Venezia, che ha sempre ruotato nell'area bizantina fino al Mille e che aveva commerci molto fiorenti, rimase sostanzialmente estranea alle diatribe sull'usura, sulle banche e sui monti di pietà. A Venezia interessava avere privilegi commerciali da Bisanzio, finché, dopo il Mille, si pensa solo a come conquistarla.

Nel VII secolo i veneziani avevano preferito porsi sotto la dipendenza diretta di Bisanzio per non dipendere da quella dell'Esarcato. Grazie a Bisanzio riescono a opporsi al tentativo di conquista da parte dei Franchi. Nel IX secolo conquistano le coste istriane, dalmate e pugliesi. Nell'XI sec. vincono i Normanni che volevano prendersi l'Albania. Questo permette alla città di ottenere privilegi unici in tutto in Mediterraneo.

A partire dal 1171 iniziano a saccheggiare, senza molto successo, la costa della Beozia. Stringono alleanza coi Normanni siciliani in funzione antibizantina, finché nel 1204 partecipano alla quarta crociata occupando Costantinopoli: ottengono la quarta parte dell'impero bizantino e le loro navi sono praticamente ovunque. Bisanzio fu costretta a cercare un'alleata in Genova, che combatté, senza successo, contro Venezia; quest'ultima invece, proprio dopo aver sconfitto Genova, diventerà una delle potenze maggiori d'Europa, tanto che inizierà a occupare l'entroterra (Treviso, Bassano, Padova, Verona, Vicenza, Udine, Friuli, Brescia, Bergamo, Peschiera, Ravenna, Lodi, Piacenza). Insieme a Firenze e Milano, era diventata uno degli Stati più forti d'Italia.

Fece un errore clamoroso a indebolire Bisanzio contro i Turchi. Nonostante la grande vittoria di Lepanto (1571), il suo declino infatti sarà inevitabile, poiché i commerci per il Mediterraneo non potevano più essere quelli di un tempo (i Turchi erano incredibilmente esosi). Ma, quel che è peggio, Venezia viene tagliata fuori dai commerci portoghesi lungo le coste africane e da quelli spagnoli in America. La sua guerra contro i Turchi andò avanti sino alla fine del Settecento, ma senza risultati. E questo la indebolì anche nel confronto con le altre città conquistate nell'entroterra.

Sarà Napoleone a darle il colpo di grazia conquistando il Veneto e cedendolo segretamente all'Austria nel 1797 (Trattato di Campoformio); gli austriaci verranno cacciati dalla città solo nel 1866.

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Vismara Giulio, Scritti di storia giuridica. Vol. 9: Tra antichità e Medioevo, Giuffrè
Padoa Schioppa Antonio, Il diritto nella storia d'Europa. Vol. 1: Il Medioevo, CEDAM
Reventlow Henning G., Storia dell'interpretazione biblica. Vol. 2: Dalla tarda antichità alla fine del Medioevo, Piemme
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Gregorovius Ferdinand, Storia della città di Roma nel Medioevo, Einaudi
Toniolo Giuseppe, Storia dell'economia sociale in Toscana nel Medioevo. Vol. 1, Vol. 2, Studium
O. Nuccio, Il pensiero economico italiano, tomo I, ed. Gallizzi, Sassari 1987.

SitiWeb
Marx e il capitale commerciale, usuraio e industriale
Calvino e l'usura
Il concetto di usura nel tempo
Sul concetto di Purgatorio
L. A. Muratori, Dissertazione sull'usura
Monte di Pietà di Parma
www.medioevoitaliano.it
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Bibliografia

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Usura: moltiplicatore del circuito criminale (pdf-zip)
A. Cipriani, Un mondo alla rovescia nella società medievale (pdf-zip)

N.B. Per la parte relativa alla situazione dell'usura nell'area bizantina si ringrazia il sito www.imperobizantino.it

http://www.homolaicus.com/storia/medioevo/usura.htm#Chiesa


Il diritto romano in principio stabiliva che colui che aveva contratto prestito era tenuto alla restituzione del tantundem, ossia dell’uguale quantità. https://poliren.wordpress.com/2013/03/05/l-usura-2/

La nuova religione cristiana prese netta posizione contro il prestito ad interesse. Basilio Magno (IV sec.), ad esempio si scagliava in questi termini contro l’usuraio:
«Il povero era venuto a cercare un aiuto ed ha trovato un nemico. Cercava una medicina ed ha trovato un veleno. Saresti dovuto venire in soccorso della sua povertà invece ti arricchisci sulla sua miseria (…)

I cani quando ricevono qualcosa diventano mansueti; ma l’usuraio quando intasca il suo avere si irrita maggiormente. Infatti non cessa di latrare, chiede sempre di più (…) 

Non hai ancora preso in mano il denaro che già ti si chiede l’interesse del mese in corso. E questo denaro preso in prestito già genera un altro male ed un altro ancora, e così fino all’infinito» (dalla Omelia sul Salmo XIV).
Tommaso era altrettanto chiaro al riguardo. Se l’usura rappresentava il prezzo per l’uso di una somma di denaro data in prestito, si vende ciò che non esiste poichè l’uso non è distinto dalla cosa. Se invece si esige un guadagno per la somma data in prestito, allora si vende due volte la stessa cosa poichè oltre alla restituzione si esige anche l’interesse.

Il cattolicesimo ha condannato la pratica dell’usura almeno in nove Concili ecumenici. Il Concilio ecumenico Nicea I (anno 325), sotto il pontificato di papa Silvestro I, proibiva tassativamente ai chierici non solo di esercitare attività usuraia, ma perfino di esigere qualsiasi tipo di interesse, anche se legalmente lecito e citava il versetto 5 del Salmo XIV «presta il denaro senza fare usura». 

Questo divieto conciliare riguardava però soltanto i chierici. Il Concilio ecumenico Laterano II (anno 1139), sotto il pontificato di papa Innocenzo II, ribadiva la condanna della attività usuraia, anche se compiuta secondo il diritto romano antico, poiché tale pratica veniva ritenuta contraria alle leggi divine ed alla Sacra Scrittura. Gli usurai pertanto, sia chierici sia laici, erano da considerarsi infami per tutta la vita e dovevano essere privati della sepoltura cristiana. https://poliren.wordpress.com/2013/03/05/l-usura-2/

Esodo 22 - 24:
[24] Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te,non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Ezechiele 18 - 8:
[7] se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina, divide il pane con l'affamato e copre di vesti l'ignudo,
[8] se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall'iniquità e pronunzia retto giudizio fra un uomo e un altro,

Levitico 25 - 35,37:
[35] se tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e inquilino, perché possa vivere presso di te;
[36] non prendere da lui interessi né utili; ma temi il tuo Dio e fa vivere il tuo fratello presso di te;
[37] non gli presterai denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura”
Deuteronomio 23 - 20.21:
[20] Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualunque cosa che si presta a interesse.
[21] Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese di cui stai per andare a prender possesso.
Questo versetto, ABOMINEVOLE, è ancora oggi letto dagli Ebrei come permesso di esercitare usura solo ai non Ebrei, perchè considerati "gentili" (Cristiani, Musulmani, etc).

Il Corano nella Sura 4 An Nisa v.160 riprende questo comportamento discriminatorio oltre che errato degli Ebrei, vietando l'usura a tutti, in modo universale e senza distinzioni.http://lmticino.blogspot.it/2013/04/usura-tra-bibbia-e-corano.html
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso. - Es 22, 24-26
«Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali. Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio - Am 2, 6-8


fonte: http://fuoridimatrix.blogspot.it/2016/09/storia-segreta-della-banca-dinghilterra.html

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